30 Settembre 2021

Tra il film e il racconto: “Il curioso caso di Benjamin Button”

di Antonio Messina

A chi non è mai capitato di andare al cinema per vedere la trasposizione di un libro sul grande schermo per poi dire o sentir dire, una volta fuori dalla sala, la tipica frase: «Sì, ma il libro è meglio del film!»? La verità è che non è possibile fare un confronto vero tra un libro e un film, in quanto parliamo di due media completamente differenti e con meccanismi di comunicazione tra il mittente e il ricevente molto complessi e articolati

Se un libro o un racconto può permettersi di prendersi il tempo di tutte le pagine possibili per raccontare una storia, il film ha dalla sua non solo l’arduo compito di sospendere la realtà, una volta che si spengono le luci in sala, ma anche la necessità di raccontare quella stessa storia nel limite di un paio d’ore.

Il curioso caso di Benjamin Button, pubblicato da Francis Scott Fitzgerald nel 1922, è un racconto breve di una ventina di pagine in cui viene narrata la storia di una famiglia americana altolocata, nel 1865, alle prese con la nascita di un bambino dall’aspetto a dir poco singolare: Benjamin, infatti, nasce vecchio e con il passare degli anni ringiovanisce, fino a regredire all’età infantile. Egli, di fatto, vive una vita al contrario rispetto a quella delle altre persone.

Il racconto ci narra, nel dettaglio, del rapporto che Benjamin ha principalmente con il padre: se questi inizialmente ne rifiuta la natura ambigua e grottesca, con il passare del tempo comincia ad apprezzarlo e intrattenere con lui un rapporto tra padre e figlio del tutto stabile.

Quello che Benjamin non riesce a gestire in maniera eguale è il rapporto con la società: mentre tutti gli altri invecchiano, lui ringiovanisce, appunto, e solo per un breve periodo di tempo la sua età anagrafica corrisponde a quella del suo orologio biologico. Non basteranno il matrimonio, un figlio, una dura vita di lavoro nell’azienda del padre e il servizio militare durante l’assalto alla collina di San Juan a fare di Benjamin un uomo comune. Difficile è il rapporto con una moglie che invecchia; impetuoso il ricordo di una vita intera quando il suo aspetto diventa quello di un bambino di dieci anni e nessuno lo prende sul serio quando cerca di far valere il suo titolo di Generale. 

Fitzgerald mette in piedi quella che a tratti sembra una bellissima favola con un finale dolceamaro, che lascia nel lettore una tenerezza dalla quale non si può scappare del tutto.

Il film si discosta dalle dinamiche del racconto fin dall’inizio: Benjamin Button, infatti, subito dopo la nascita, viene abbandonato dal padre davanti all’ingresso di una casa per anziani, dove trascorre i primi dodici anni della sua vita in compagnia di vecchi morenti che vedono il nuovo arrivato ringiovanire giorno dopo giorno, quasi come se il destino li stesse beffando. 

Le avventure di Benjamin, una volta acquisito un aspetto accettabile per essere considerato un qualunque vecchietto, sono di volta in volta sempre più rocambolesche e ricche di esperienze. Esplora il mondo grazie a molteplici lavori, fa fronte alle prime esperienze sessuali in un bordello e conosce l’amore della sua vita, senza però mai sposarsi. 

Non ebbe mai un unico mentore a fargli da guida, poiché ogni persona che incontra nel suo cammino, sempre incuriosita dal suo singolare aspetto, ha qualcosa da insegnargli e da imparare dallo stesso Benjamin. E se il finale è praticamente uguale a quello del racconto, qui troviamo una storia che risulta essere molto più avvincente: la vita dell’uomo che diventerà un ragazzo e poi un bambino è una vita piena di bellezza e il regista non si risparmia di mostrarci, nelle quasi tre ore del film, quella che per Benjamin sarà una vera e propria avventura. 

A permettere tutto ciò, ovviamente, è l’assenza della figura paterna: non avendo un punto di riferimento reale, Benjamin dovrà cavarsela quasi sempre da solo e questo fa sì che il film riesca a esplorare ciò che il racconto non ci mostra.

Possiamo, dunque, dire che questo è uno dei pochi casi in cui il film è meglio del racconto originale? Forse sì, anche se, come dicevamo, un confronto non sarebbe possibile per via della differente natura dei due media. Quello che è certo è che se si fosse seguito per filo e per segno il racconto di Fitzgerald, non avremmo ben impressa nella mente questa strana storia che Fincher ha saputo arricchire con sapienza e coerenza, come pochi saprebbero fare in situazioni del genere. Di certo, avremmo avuto una storia più fedele, ma chi ci dice che la fedeltàper un media che ha il compito di annullare il contatto con il mondo reale sia sempre la strada giusta?

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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