30 Aprile 2022

The Cuphead Show

di Antonio Messina

Non staremo qui a ripercorrere per filo e per segno le sfortune cui il cinema è andato incontro, tentando di adattare i videogiochi sul grande e sul piccolo schermo. Non vi parleremo, per lo meno non qui, di quanto inutili siano stati, fino a qualche anno fa, i tentativi di far sì che i due media riuscissero ad alimentarsi a vicenda. Ma dobbiamo fare le dovute premesse, prima di proseguire con questa recensione: anche se The Cuphead Show non è il primo adattamento riuscito, è sicuramente quanto di più vicino ci sia ad una fedele riproduzione del prodotto di partenza, con buona pace di quelli che hanno adorato, nei primi anni 2000, la saga di Resident Evil con Milla Jovovich. E poi tutti gli altri fallimenti a seguire.

The Cuphead Show (2022)

The Cuphead Show narra le vicende di Cuphead e Mugman, rispettivamente una scodella e una tazza, nelle Inkwell Isles, popolate da personaggi caratteristici come teiere, forchette, comodini, dadi, calici di vino, fiori, animali e ortaggi con il dono della parola. Cuphead e Mugman sono fondamentalmente due ragazzini che vivono con il nonno e passano le loro giornate a combinare guai e ad infastidire gli abitanti del luogo, dovendo fare i conti con le sgradevoli conseguenze delle loro azioni. Purtroppo per loro, però, le cose si fanno ancora più toste quando durante una visita ad un Luna Park infernale, Cuphead riesce a battere il Diavolo in persona. Questo, infastidito dalla fortuna del protagonista, ma soprattutto dall’insolenza dei due fratelli, darà loro la caccia ricorrendo a qualunque mezzo possibile e immaginabile, pur di prendere l’anima di Cuphead, meglio ancora se quella di entrambi i protagonisti.
Come si può evincere dalla storia, parliamo di una serie tv animata. Composta da dieci episodi della durata media di quindici minuti ciascuna e già rinnovata per una seconda stagione in uscita questa estate stessa, essa però non si presta del tutto alla visione di un pubblico troppo giovane, mentre si lascia tranquillamente guardare anche da coloro che non si sono mai approcciati al videogioco da cui la serie è tratta. Certo, come nella maggior parte di questi casi, avere delle conoscenze pregresse, permette di riconoscere subito i personaggi, le situazioni e anche prevedere cosa potrebbe succedere, nella speranza che i produttori abbiano saputo mantenere fede all’opera originale.
La serie, così come il videogioco, si contraddistingue per l’aspetto grafico: The Cuphead Show, infatti, si forgia di una veste grafica e delle musiche che strizzano l’occhio ai cartoni degli anni ’30 lasciando piacevolmente sorpreso lo spettatore nel constatare quanto questa tecnica risulti azzeccatissima per un prodotto del genere, mentre l’animazione attuale diventa sempre più elaborata e si perde il senso di genuinità nei disegni. La serie mantiene lo stesso umorismo del videogioco: affettato e ricco di gag tipiche dei prodotti slapstick di cui si faceva spesso uso nella commedia cinematografica di quel tempo (un tipo di comicità grottesca e violenta che sfocia spesso in gesti estremi dal tirare torte in faccia, fino a sonori schiaffoni o rocambolesche cadute) e riesce a farsi guardare con sorprendente piacere da parte dello spettatore che si vede scivolare gli episodi sotto gli occhi senza nemmeno rendersene conto. Per capire meglio il tutto, si potrebbe fare un paragone con i primi cortometraggi in bianco e nero della Walt Disney con protagonista Oswald (il primo Topolino): immaginate, quindi, un Topolino calato in un mondo ricco di insidie, con una costante sensazione di essere immersi in un’atmosfera cinica e a tratti quasi perversa, oltre che malefica. Un Topolino prepotente e capace di commettere atti che vanno quasi sempre a proprio favore, a discapito degli altri, senza però tralasciare una certa ingenuità che è, alla fine, il motivo per cui i due protagonisti si trovano sempre nei guai, credendo di essere costantemente in vantaggio.
Nonostante gli episodi scorrano in maniera quasi liquida sotto gli occhi dello spettatore, non ce la sentiamo di dire che Netflix, anche in questo caso da quando ci ha abituato ad avere gli episodi disponibili tutti in un a volta, ha nuovamente reiterato il cattivo meccanismo del binge-watching. Piuttosto, complice la durate degli episodi e questo umorismo che si sposa alla perfezione con l’aspetto grafico, la sensazione è quella di una vera e propria fascinazione ipnotica che spinge lo spettatore ad arrivare alla fine, per poi ritrovarsi di fronte ad un inatteso cliffhanger.
Ma come si è riusciti a raggiungere questo risultato? Quello che ci si aspetta da un prodotto tratto da un videogioco, è che i produttori e il regista riescano come minimo a richiamare fedelmente l’atmosfera originale e che i personaggi siano quanto più fedeli possibile negli atteggiamenti, nella loro sensibilità e nella loro capacità (o incapacità) di affrontare i problemi ai quali vengono messi di fronte. Il lavoro, in questo caso, è certamente semplificato dal fatto che si tratta di una serie animata e che quindi di per sé già è possibile realizzare cose che nella realtà risulterebbero inverosimili, accettando il fatto che si tratti di un cartone, dove la sospensione dell’incredulità è totale e perfino necessaria. Certo, nel videogioco i protagonisti acquisiscono man mano delle capacità e dei poteri utili per affrontare al meglio i boss e i dungeon pieni zeppi di nemici da sconfiggere e questo aspetto nella serie viene puntualmente a mancare, inserendo altri elementi utili per uscire fuori dai guai. Ci aspettiamo, comunque, che alcuni elementi mancanti nella prima stagione verranno inseriti in qualche modo nella seconda, rendendo la serie ancora più vicina al prodotto originale.
The Cuphead Show è un prodotto ben fatto e godibile sotto ogni aspetto, perché riesce a riprendere e riproporre fedelmente le caratteristiche principali del videogioco da cui è tratto: l’atmosfera, l’atteggiamento dei protagonisti e dei comprimari, le ambientazioni e perfino le arene in cui i due affrontano i loro nemici, tentando di farla in barba al Diavolo che non accetterà facilmente una sconfitta.

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Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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