28 Maggio 2021

Una A rossa d’amore. “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne

di Giada Di Pino

Una bellissima donna, dai neri capelli fluenti e il corpo sinuoso, viene trascinata fuori dalla prigione con al seno una bambina di pochi giorni e costretta a salire su un palco costruito appositamente per lei sulla pubblica piazza: la gogna. Lì, davanti agli occhi curiosi e severi di un’intera cittadina dell’America coloniale, deve mostrare la lettera che le brilla ricamata sul petto: A, Adultera. 

Questa tortura le sarà inflitta ogni giorno, finchè avrà vita, insieme alla creatura che stringe al petto, a meno che non confessi il nome dell’uomo macchiatosi insieme a lei del peccato mortale. Ma Hester Prynne non rivela il nome dell’uomo di cui si è innamorata dopo anni di estenuante attesa di un marito vecchio e poco affettuoso che l’ha mandata a Salem, promettendole di raggiungerla, e di cui non ha più notizie. 

Che la colpa, la terribile colpa di amare, di donare al mondo il frutto di quell’amore, ricada su di lei quindi e su lei soltanto, che, sola al mondo, non ha niente da perdere, al contrario dell’altro, il cui buon nome e la rispettabile posizione sociale verrebbero totalmente distrutte da un tale scandalo! Hester condurrà da quel momento in poi una vita di tristezza e solitudine, prodigandosi, nonostante tutto, per gli altri e vivendo del proprio lavoro, della sua incredibile bravura nel cucire, crescendo con amore e dedizione la piccola Perla, il vivace e intelligente frutto del peccato, guardato biecamente dagli abitanti di Salem che ritengono la bambina un piccolo demonio.

Dopo molti anni, la passione tra lei e l’amante misterioso si accende nuovamente, e di nuovo allora nascerà in Hester il desiderio di lottare per quell’amore che per la prima volta l’ha fatta davvero sentire donna, capace di desiderio, fatta di carne e viscere oltre che di pensiero. Ma stavolta le cose sono diverse. Stavolta nuovi segreti, nuovi dèmoni e nuovi peccati ostacolano il futuro che le si prospetta innanzi, e la lotta è già ad armi impari.

Un classico della letteratura americana, una storia che ha segnato la nostra epoca sia tramite il romanzo, sia tramite il bellissimo film diretto da Roland Joffé nel 1995. La narrazione procede con lentezza, soprattutto all’inizio, ed è appesantita dalla lunga introduzione, in cui l’autore, con un espediente simile a quello di Manzoni, racconta il modo in cui gli sono pervenute le scartoffie dove veniva descritta la vicenda e quel pezzo di stoffa con ricamata quella bruciante lettera A. 

Poca l’azione, mentre invece viene dato molto spazio alla psicologia e all’interiorità dei personaggi, che si dispongono in un quadrilatero relazionale: Hester Prynne, Arthur Dimmesdale, Perla e Roger Chillingworth rappresentano coppie antitetiche di bene e male, salvezza e dannazione, purezza e infamità, verità e menzogna. Il loro carattere, la loro personalità e i legami che li stringono in vincoli indissolubili sono dall’autore scandagliati senza posa, ma con quel distacco, quello sguardo dall’alto, tipico del narratore onnisciente ottocentesco che è compartecipe della sofferenza delle sue creature dall’anima d’inchiostro, ma che giudica severamente ciò di cui non parla con il suo incorruttibile silenzio. 

L’oggetto polemico di Hawthorne non è la fierezza di Hester, a cui va tutta la sua partecipazione e la sua tenerezza di autore-padre, né la mancanza di carattere di Dimmsdale, il personaggio forse più tragico nella sua spaccatura tra la verità e la menzogna che lo distrugge lentamente, né può mai esserlo la vivacità di Perla, come non è neanche la malvagità e il calcolo diabolico di Roger Chillingworth. Il silenzio astioso dello scrittore americano si scaglia su una società gretta e retrograda, fanatica e superstiziosa al punto che basta che una donna si immagini  strega per esserlo con orgoglio, ed è sufficiente che la figlia nata da un amore extramatrimoniale sia più sensibile e vivace degli altri bambini perché sia considerata una creatura infernale. 

Una società che è pronta a puntare il dito contro una donna giovane, vedova e bella e che le affibbia subito un segno sul petto con cui marchiarla a vita. Una donna che nonostante tutto quel dolore e quella solitudine, conserva una dignità, un onore e una rispettabilità che la pongono un gradino sopra tutti gli altri, oppressi dalla miseria della loro stessa grettezza, nonché un carattere forte e indomabile che la rende un personaggio statuario, quasi che Hester fosse un’eroina di tassiana memoria, una Clorinda senza armatura e senza spada che combatte solo con il suo sguardo fiero e la sua onestà. 

Se questo romanzo fosse stato scritto in clima novecentesco, avremmo potuto dire che Hester è un esempio di donna colpevole di essere nata tale, oppressa solo a causa della sua femminilità; ma così non è, dunque sarebbe fuori luogo parlare di denuncia delle condizioni femminili in uno scrittore come Hawthorne. La vera denuncia sta invece nel ritrarre una società vittima del fanatismo religioso, che costringe, e ha costretto per secoli, l’uomo ad atti e a giudizi che di religioso non hanno nulla. 

La nostra società è molto diversa da quella descritta in questo romanzo, eppure qualcosa possiamo comunque impararla, al di là del fatto che anche le opere dalla lettura più ostica possono strapparci qualche lacrima di commozione: l’amore non è mai peccato, non è mai colpa, in qualunque modo lo si vive, e solo chi ama, chi ama davvero, conserva puro il proprio cuore e la propria anima; e che tutti, ma proprio tutti, hanno il sacro diritto di amare e di essere amati.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

Leggi di più 


Potrebbe interessarti: