7 Dicembre 2022

Sulle tracce del delitto e del passato. “Pista nera” di Antonio Manzini

di Daniele Di Martino

«”Mestiere di merda” ringhiò il vicequestore mentre premeva con tutte le forze il tasto rosso. E la solita spiacevole sensazione di colpevolezza calò sui suoi sensi, sul suo corpo stanco e infreddolito. Era sempre così. Ogni volta che chiudeva un caso si sentiva sporco, lurido, bisognoso di una doccia o di un viaggio di un paio di giorni. Come se fosse lui l’assassino. Come se fosse colpa sua se era stato ucciso Leone. Ma non si può toccare l’orrore senza farne parte. E lui lo sapeva. Era la parte più brutta e oscura della sua vita, tornarci era doloroso, faticoso. E tutto questo, le indagini, gli assassini, le falsità lo costringevano a rifarci i conti. A lui, che cercava di lasciarsi alle spalle le cose più brutte che aveva vissuto. Che tentava di dimenticare il male fatto e quello ricevuto. Il sangue, le urla, i morti. Che si ripresentavano dietro le palpebre ogni volta che le chiudeva».

Queste sono le riflessioni del vicequestore Rocco Schiavone che meglio definiscono la complessità del personaggio nato dalla penna e dalla fantasia di Antonio Manzini

Un poliziotto corrotto, violento, sarcastico, cinico,  romano fin nelle viscere e che odia il suo lavoro. Un lavoro che, tuttavia, continua a svolgere con dedizione, inflessibilità e senso del dovere, nel tentativo  di dare un senso di giustizia a una realtà che ne sembra priva. E sono proprio queste dicotomie che lo rendono inviso a chi muove i fili del potere nella sua Roma, al punto da confinarlo alla squadra mobile della fredda e lontana Aosta.

Quattro mesi dopo il suo trasferimento punitivo in una città che sembra tanto immobile e calma quanto fredda, e alla quale Rocco non riesce ad adattarsi, viene ritrovato un cadavere semisepolto in mezzo a una pista sciistica di Champoluc, poco fuori il capoluogo. 

Si tratta di Leone Micciché, un catanese trasferitosi in Val d’Aosta per aprire un’attività turistica. Pochissimi e frammentari gli indizi che vengono ritrovati vicino ai suoi resti. Diverse le ipotesi e le piste che il vicequestore Schiavone dovrà seguire per dipanare la matassa e chiudere il caso.

Contrariamente alle mie abitudini, mi è capitato di vedere – e amare – in un primo momento la trasposizione televisiva di questa saga, con un magnifico e azzeccatissimo Marco Giallini nei panni del rude Rocco Schiavone, e di leggere solo in seguito i romanzi. 

Non nego di aver iniziato la lettura del primo libro con un misto di curiosità e timore. Mi chiedevo se avrei ritrovato sulla carta le sensazioni che il protagonista mi aveva trasmesso attraverso la serie tv, e che effetto mi avrebbe fatto leggere i risvolti di un’indagine della quale conoscevo già l’iter investigativo e la risoluzione. In fondo, pensavo, se a una storia che narra di un’omicidio si elimina la suspance della rivelazione finale, cosa resta?

La risposta è che quando si parla di un noir scritto magistralmente, con un protagonista perfettamente caratterizzato e con un suo vissuto interiore così ben delineato come quello dello Schiavone costruito da Manzini, l’indagine risulta essere solo un pretesto per narrare molto di più. Ciò che rimane infatti è tanto e denso.

È un viaggio dentro i pensieri, attraverso l’amarezza e il disgusto che Schiavone si porta dentro assieme al senso di giustizia. Ideale, questo, che il protagonista persegue senza mai riuscire a raggiungerlo davvero. Neanche dopo aver risolto un caso. Gli scheletri e i fantasmi che il vicequestore si porta letteralmente dietro sono avversari di gran lunga più ardui da sconfiggere di quelli che si trova a fronteggiare durante le sue indagini.

É impossibile non empatizzare con Rocco, non provare comprensione e persino talvolta tenerezza per come non si dà tregua, per come, lucidamente, non si sottrae alle proprie colpe, ai propri sbagli e alla parte più oscura della sua personalità. Un uomo che non si crede migliore di altri e non cerca di apparire ciò che non è, che rifiuta le maschere indossate per convenzione sociale.

Pista Nera è il punto di partenza obbligato se si ha intenzione di leggere i libri che narrano le indagini di  Schiavone.
Ci presenta i componenti della sua squadra, gli agenti e gli ispettori con i quali è costretto a collaborare, che gli piaccia o meno. E nella maggior parte dei casi il suo fastidio nell’avere a che fare con elementi assurdi e inetti emerge particolarmente, come se fosse una punizione aggiuntiva al suo trasferimento. 

Troverà una sintonia e riporrà fiducia in pochi, in particolare in Italo Pierron, giovane agente che si dimostra sveglio ed efficiente, ma soprattutto l’unico che sembra avere la chiave per accedere, senza forzature, al mondo interiore che Schiavone vuole ostinatamente tenere per sé.

Man mano che questa prima indagine procede, il rapporto tra i due pian piano si rafforza, permettendo una leggera apertura da parte del vicequestore. E il lettore, assieme a Italo, inizia a intravedere il fardello che il protagonista si porta dentro, la sua visione della società e dello Stato italiano, forze dell’ordine comprese.

Visione che Manzini, con uno stile diretto e sarcastico, scarno, non di rado crudo e disilluso, delinea pagina dopo pagina, tracciando un filo rosso che parte da questo primo romanzo e che si proietta nei successivi. Una trama orizzontale che traccia e lega anche le  puntate della saga seguenti,  delineando un percorso ben preciso che porta a sciogliere la matassa oscura del passato del protagonista.

In conclusione, Pista nera è il romanzo perfetto per chi ama le storie investigative, e soprattutto per coloro che in esse cercano qualcosa in più dell’indagine e del caso poliziesco in sé. 

Inoltre, la scrittura matura, introspettiva e schietta dell’autore potrebbe farlo apprezzare anche a chi, pur non essendo ancora un amante del genere, si appassiona facilmente a una narrazione che gravita attorno a personaggi capaci di intraprendere un percorso personale profondo, proiettato sul lungo termine. Del resto, i noir sono detective stories nelle quali il protagonista inizia con dei problemi personali irrisolti, e finisce con ancora più problemi di prima.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Daniele Di Martino

In antitesi con la natura tecnica dei suoi studi e del lavoro svolto, si appassiona alla lettura di romanzi thriller, spionaggio e azione. Nel tempo amplia le proprie letture a molti altri generi, sviluppando in particolare una forte passione per saggi e romanzi di storia contemporanea, distopici e ucronici.

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