9 Gennaio 2023

Di cosa parliamo quando parliamo di pornografia. “Sul porno” di Claudia Ska

di Valentina Savasta

Il porno deve essere sovversivo: questo è il punto da cui partire. 

Il porno non deve avere intenti pedagogici, non deve educare, non deve essere politicamente corretto, deve intrattenere, eccitare e suscitare emozioni. La pornografia è essenzialmente un genere letterario e cinematografico. In quanto tale si comporta. E, in quanto tale, naturalmente deve vendere. Proprio queste modalità di vendita e ricezione si pongono come terreno d’indagine privilegiato del pamphlet Sul porno di Claudia Ska. 


titolo: Sul porno
autore: Claudia Ska
editore: Villaggio Maori Edizioni
anno: 2019
prezzo: € 14,00


Il saggio è introdotto da una prefazione di Elisa Cuter, che ci aiuta ad orientarci all’interno del testo. Cuter, critica cinematografica ed esperta di questioni di genere, sottolinea come l’approccio di Ska abbia un potenziale di ampio respiro, in quanto l’occhio dell’autrice è in grado di rendere conto del sistema di produzione del porno sia da un punto di vista estetico che materiale, distaccandosi da una visione puramente moralistica della pornografia. Questa critica estetica e l’approccio al fenomeno in sé permettono a Ska di gestire l’argomentazione senza pregiudizi, di stare lontana da dogmi e manicheismi, dando vita a un saggio che inquadra il porno prima di tutto come un prodotto inserito all’interno di un sistema commerciale e sociale preciso: quello del capitalismo.

Come viene prodotto allora il porno? Quali sono le condizioni finanziarie e lavorative di questa produzione? Com’è nato e come si è sviluppato nel divenire storico? In che modo viene recepito dalla società del consumo e, soprattutto, quanto la percezione negativa o oscurante della produzione pornografica dipende da un pregiudizio sovrastrutturale, che poco ha che fare con l’intimo del soggetto che ne usufruisce?

Sostanzialmente, il pregio di questo saggio di Ska, secondo Cuter, è da vedersi nel mutamento di paradigma con cui il porno viene osservato.

E in effetti ci troviamo faccia a faccia con un libro inaspettato, in grado di mutare alcune precognizioni attraverso una lucida analisi.

Secondo quest’ottica, infatti, dovremmo rimodulare la maniera in cui nominiamo e concepiamo le varie macrocategorie di questo tipo di produzione. Il porno mainstream, per esempio, non è unicamente un insieme di produzioni etero-normate e costruite a uso e consumo di un occhio maschile, in cui la donna è conformata a un immaginario estetico preciso, con funzione di oggetto desiderato più che di soggetto desiderante, ma è proprio una condizione di produzione. Dietro il porno mainstream esistono case produttrici di grosse dimensioni, caratterizzate da tutti quegli elementi che sono propri di qualunque multinazionale (compresa la delocalizzazione e la conseguente perdita di posti di lavoro). E dall’altro lato, la pornografia indipendente, non più automaticamente contrapposta contenutisticamente al mainstream, che si definisce tale in quanto caratterizzata da minori possibilità di investimento di capitale: in sostanza, il porno indie non è un genere, bensì una condizione monetaria. Potenzialmente, la rappresentazione della donna come oggetto, piuttosto che come soggetto narrante del desiderio, potrebbe essere la stessa del mainstream. Ska, nella sua analisi, annulla l’opposizione tra le due tipologie di produzione, rifiutando la dicotomia assenza/presenza di valori etici.

Allora di cosa parliamo quando parliamo di pornografia etica? Essenzialmente di condizioni di lavoro corrette e sostenibili, che pongano al centro la sicurezza de* lavorator*, il consenso, compensi equi. E, nel caso di una pornografia etica che sia anche transfemminista, di una progettazione che coinvolga almeno una donna (o una persona trans, nel caso di opere che ne coinvolgano qualcuna) in fase di produzione e che ponga il soggetto performante e il suo desiderio al centro, con la libertà di tutt* di agire in modo libero (agency). Tale eticità, specifica Ska, dipende anche dai consumatori. Esattamente come per gli altri prodotti commerciali, essere consapevoli delle condizioni di produzione aumenta la possibilità di usufruire di un prodotto che non violi alcun diritto. 

Illustrazione di Elisa Sciacca

Il modo in cui usufruiamo del porno, dunque, può essere etico o non etico tanto quanto la sua produzione. Ma come lo percepiamo? Come funziona la ricezione?

La cinematografia pornografica (da distinguere dal materiale pornografico, che non è soggetto alla cura artistica propria del genere), si scontra prima di tutto con uno statuto mai riconosciuto nel mondo dell’arte. O meglio, possiede i propri festival e un proprio giro culturale e attivista, però difficilmente viene riconosciuto come “arte” in senso stretto e viene escluso da ogni forma di sovvenzione pubblica dedicata al cinema. Anzi, il genere pornografico, come sottolinea Ska, viene tassato con un tributo aggiuntivo, la cosiddetta porn tax o tassa etica. 

Il problema del riconoscimento della pornografia come forma d’arte coinvolge la sottile linea che separa la verisimiglianza dal realismo, in quanto il sesso non può essere slegato in pieno dalla performatività. L’atto in sé non è simulato, avviene innegabilmente; ciò che si simula è l’ambientazione, il rapporto tra i personaggi, ma non l’atto sessuale. E proprio questo spinge non solo gli ambienti culturali a negarne lo statuto di genere artistico, ma anche la società a respingerlo, a percepirlo aprioristicamente come un qualcosa di degradato, di scabroso. Aggettivi, questi, intrinsechi nella semantizzazione collettiva di “pornografico”. 

La società però è pervasa dalla pornografia. Il porno è nella pubblicità, nei videoclip musicali, nelle riviste patinate, che ne normalizzano e normano gli estremi. E se la società bigotta e moralizzantedefinita da Ska sessuofobica –  accetta di buon grado la continua allusione ai corpi come oggetti di desiderio e fonti di libido, allo stesso tempo demonizza e delegittima il realismo del cinema porno. Il paradosso è che proprio la massa a cui questa produzione è destinata, la ostracizza, la percepisce come un qualcosa di sbagliato e sporco, moralmente inopportuno. Pur facendone largo uso.

Sebbene sia parte integrante della vita di ognuno, dunque, il sesso è ancora considerato un tabù: censuriamo i nostri appetiti sessuali, così come cerchiamo di censurarne le rappresentazioni (per quanto possano essere frutto di un processo artistico). Il modo di relazionarsi al sesso è condizionato da secoli di norme religiose che si sono, di fatto, radicate nel nostro sistema culturale, quale che sia (o non sia) il nostro credo. 

Un altro piano sul quale la critica alla pornografia si muove è quello della rappresentazione dei corpi, degli orientamenti di genere e sessuale. Claudia Ska si muove qui nel terreno minato dei femminismi, i quali hanno a lungo dibattuto sulla liceità di questo genere. Punto fermo dell’autrice rimane il fatto che il porno non abbia necessità di essere legittimato, al limite di essere studiato e capito. Però la rappresentazione del ruolo della donna (si parla tendenzialmente di oggettificazione) e la rappresentazione di ciò che differisce dall’eteronorma e dall’immaginario estetico wasp sono un punto sempre caldo del dibattito politico e attivista.

L’empasse è in realtà di facile risoluzione: la pornografia è un linguaggio, e in quanto tale si appropria dell’immaginario collettivo, riproponendolo nelle sue rappresentazioni; è, come ogni forma di comunicazione, specchio della società. Attinge al nostro immaginario, che rimane tuttora machista, specie per un genere come il porno, la cui forma mainstream più diffusa affonda le proprie radici in una vecchia e monolitica narrazione del desidero fatta in altri tempi (la tipologia Playboy per intenderci), non dovrebbe dunque sorprendere che anch’essa risulti talora sessista, razzista e discriminatoria

Parlare di oggettificazione del corpo della donna nel porno, inoltre, sarebbe improprio, in quanto avalla una rappresentazione distorta del ruolo della performer, la quale è un soggetto consapevole e capace di autodeterminazione. Questa visione moralizzante, frutto di un paternalismo spesso presente in certe frange femministe, non tiene conto del consenso delle persone coinvolte, che sanno esattamente cosa preveda il copione che andranno a performare. Fare cinema porno è una scelta. In questo senso, anche parlare di violenza e di sopraffazione, dice Ska, è mistificatorio: le dinamiche rappresentate prevedono un patto narrativo, una sospensione dell’incredulità tipica della finzione; è come guardare un qualsiasi altro film o leggere un libro. Non sono una via per normalizzare e giustificare lo stupro, ma un modo per confrontarsi con la violenza e per comprendere il proprio desiderio, per scoprire qualcosa di sé.  

È vero poi che le minoranze risultano fortemente sottorappresentate; ma è altrettanto vero che ciò che vediamo è necessariamente mediato dal filtro del modello culturale dominante. Una sottorappresentazione però, che i movimenti attivisti più recenti sottolineano in qualunque produzione artistica canonica. Elemento che, ci teniamo a sottolineare, si evince anche in ambiti afferenti la sfera pubblica e collettiva, i quali tardano a distaccarsi da un modello novecentesco di esercizio bianco e maschile del potere. Questa responsabilità etica di mutamento deve essere proprio attribuita al porno? 

Non manca comunque una frangia di questo tipo. Il post-porno, che Ska ci racconta come risposta politica rappresentativa di ogni soggettività, da un lato si allontana da  modelli conformisti e dall’altra cerca di rappresentare quel conformismo in modo più consapevole. Proprio alla produzione politica del post-porno, caratterizzata dalla narrazione del desiderio del soggetto performante (autonarrazione), senza censure nei confronti di ogni tipo di corpo, sembra strizzare l’occhio l’autrice, la quale auspica a una diversificazione su larga scala, che non costringa più il desiderio sessuale in gabbie sovradeterminate e riduttive.

Questo però è solo un assaggio di quello che potrete leggere in Sul Porno, a patto che siate pronti a contraddirvi di continuo e a rimettere in discussione vecchie convinzioni e preconcetti, Claudia Ska sarà in grado di guidarvi abilmente verso nuove prospettive, scevre da moralismi e prese di posizione. Perché il sesso è vita, forma, colore e movimento. Il sesso è arte, e l’arte è rivoluzione, non è mai casta e non segue schemi: 

L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.


titolo: Sul porno
autore: Claudia Ska
editore: Villaggio Maori Edizioni
anno: 2019
prezzo: € 14,00


© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Valentina Savasta

Nata a Catania il 6 aprile 1994, si è diplomata nel 2012 presso il Liceo Linguistico G. Lombardo Radice, dove la ricordano ancora come la paladina delle cause perse. Dopo parecchi anni sabbatici di lavoro e autoanalisi, ha finalmente deciso di seguire la sua passione iscrivendosi al corso di laurea triennale in Lettere Moderne all’Università di Catania, dove si è laureata nel giugno 2021.

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