19 Gennaio 2021

Anguilla, o della memoria. “La luna e i falò” di Cesare Pavese

di Andrea Rapisarda

Potrei iniziare e concludere dicendo che siamo di fronte a un romanzo della memoria. E in effetti è così. La Luna e i falò si identifica con la sua continua ricerca di un luogo, di una persona, di un qualcosa che possa qualificarsi come domestico e familiare – insomma come casa – come quel qualcosa altro-da-me in cui sia possibile trovare la propria dignità e identità, quella dimensione che ci permette di essere persona. Ma non è soltanto questo.

Cesare Pavese

La ricerca della memoria non coincide con i luoghi della nostalgia, della riscoperta di un passato ameno e bucolico delle Langhe piemontesi, tutt’altro. Si svolge nei negativi della pellicola, nel non detto, nei solchi della terra brulla, negli odori di segatura e di «gaggìe» (acacie), nella sottrazione delle esperienze del nostro protagonista, Anguilla, capace di trovare sé stesso soltanto per mezzo del tempo trascorso fuori, in quella catartica e prolungata assenza americana. Non importa se per necessità, per desiderio o per riscatto – elementi che si mescolano e si integrano nell’esperienza di vita vissuta di Anguilla – l’esperienza del distacco risulta fondamentale per riconoscere l’altro-da-me come componente indissolubile della propria identità. Si veda a riguardo la celebre sentenza sulle ultime note del primo capitolo: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

Copertina della versione graphic novel.

Anguilla è un servitore di campagna, quanto di più vicino si possa accostare alla servitù della gleba di scolastica memoria. La resilienza fa parte del suo DNA come anche di Nuto, l’amico di una vita, il fratello maggiore che invece non ha mai abbandonato il territorio astigiano delle Langhe. Nei dialoghi con Anguilla si scopre come Nuto abbia avuto modo di trasformare quella forma di resilienza tipica del mondo contadino in un’altrettanta se non di più nobile forma di Resistenza, stavolta al nazifascismo. Ed ecco che il romanzo della memoria identitaria nei suoi capitoli migliori assurge anche a romanzo di una memoria collettiva e sociale e si fa romanzo neorealista.


titolo: La luna e i falò
autori: Marco D’Aponte, Marino Magliani
editore: Tunué
anno: 2021
prezzo: € 19,90


La Luna e i falò, se ascoltato, avrebbe i tempi di un Adagio. Posato, altero, nobile nella sua prosa asciutta, scarna ma densa di emozioni. La parola resta al servizio dell’uomo e delle sue preoccupazioni e non viceversa (1). In questo risiede la grandezza e il merito di questo romanzo. La prosa entra in simbiosi con l’esperienza del protagonista fino a coinciderne. La costruzione sintattica non è complessa, non s’adorna di strutture ipotattiche ridondanti ma non è mai allo stesso tempo leggera o scorrevole. Come quel sentiero campestre sconnesso di cui ingenuamente vedi la fine ma percorrendolo t’accorgi di come la pendenza e le imperfezioni del terreno nascondano più insidie di quanto pensassi. Come la vita, con le sue imprevedibili variabili. Perché è la strada percorsa a circoscrivere il tuo io, l’essere stati almeno una volta nella vita emigranti.
Per lettori navigati.


1. «Ma qui abbiamo i poveri visti da uno che ha vissuto indrappellato tra loro, e attraverso la tragedia dell’ingiustizia e della guerra civile, ha serbato e riconosciuto la profonda parentela della comune umanità nel sangue e nello spirito, malgrado le più varie esperienze di cultura». P. Jahier, Il Ponte, Firenze, 1950, pp.1462-63. In appendice a La luna e i falò, Torino, Einaudi, 2000, pp 198-99.

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Il nostro giudizio

Andrea Rapisarda


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