13 Aprile 2022

Il sussurro dello scrittore. “Yoga” di Emmanuel Carrère

di Giada Di Pino

Se dicessi che la lettura di questo libro è stata scorrevole e piacevole, mentirei. Se dicessi che mi ha divertito, entusiasmato, colmato di un qualche tipo di forte emozione, mentirei. Mi ha svuotata. Letteralmente. 

Man mano che procedevo nella lettura, man mano che il gioco di maschere cadeva, man mano che la finzione narrativa si rivelava, che Carrère scioglieva le metafore e soppiantava deliberatamente la finzione letteraria con la verità, non importa se altrettanto letteraria, lo sgomento cresceva e, al tempo stesso, ogni altra sensazione scivolava via. 

Ciò che la lettura di questo ultimo romanzo di Carrère mi ha lasciato è stato principalmente questo: sgomento. Insieme alla sensazione che di scrittori, di uomini di questo calibro ne nascono davvero uno su mille. 

Con una prosa piana e sincera, dal ritmo lento e genuino, che non stanca ma che si espande in tutti i tempi che gli sono necessari, lo scrittore francese traccia non una sua biografia, ma la sua lotta personalissima e costante con la vita. E lo fa partendo da ciò che è stata una delle sue principali armi, spesso a sua insaputa, insieme alla scrittura: lo yoga.

Lo scrittore inizia la sua narrazione dal racconto di uno dei tanti stage sullo yoga a cui ha partecipato. Non il primo, e neanche l’ultimo della sua vita. E neanche particolarmente formativo o illuminante. Ciò che lo ha caratterizzato è l’essere stato interrotto da un evento che ha scosso l’Europa intera: l’attentato alla sede del periodico settimanale Charlie Hebdo nel 2015. Ed è solo qui, arrivati a questo punto, dopo che le tecniche di yoga e i luoghi dello stage, l’organizzazione delle attività giornaliere e i vari partecipanti sono stati attentamente e meticolosamente descritti, che il lettore si rende conto di trovarsi davanti a un racconto biografico e non di finzione. E scopre che questo romanzo è completamente diverso da ciò che il suo esordio prometteva

Carrère narra di episodi avvenuti prima e dopo, di persone/personaggi che hanno attraversato la sua vita, del buio che ha avvolto i suoi anni più oscuri, una malattia subdola e spudorata insieme. 

Tuttavia, non c’è traccia di compatimento nella sua scrittura

Non c’è traccia di vittimismo, né di eroismo

Non c’è traccia nemmeno di un qualche tipo di spettacolarizzazione del dolore attraversato, e le scene più brutali e tristi, quelle in cui si immagina si possa provare più dolore, sono descritte con una delicatezza tale che sembra quasi che l’autore le tracci con pennellate leggere e brevi, ma vivide nella tela della narrazione

Ancor prima della sofferenza, si percepisce il pudore. E si percepisce la forza, il coraggio dello scrittore, che si mostra ai suoi lettori, al mondo intero per quello che davvero è: umano

Umano come tutti, umano come ciascuno di noi, umano come ogni creatura a questo mondo, che vive e che soffre, che lotta, che perde e che vince. Che ama.

Che ama e che ha amato, che è stato amato dalle persone che lo hanno circondato, sia stato solo per brevi istanti, per pochi mesi o per anni interi nel corso della vita, e a cui sembra voler così mostrare tutta la sua riconoscenza. Ed è questo che provoca lo sgomento a fine lettura: che sembra quasi di vedere dietro questo romanzo, in un modo un po’ goffo e un po’ pudico, come pronunciata in un sussurro, una grande, dolorosa, sincera, nostalgica, commovente dichiarazione d’amore alla vita.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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