3 Maggio 2023

E. per Emlio, S. per Stanley. “Stanley Kubrick e me” di Emilio D’Alessandro e Filippo Ulivieri

di Eugenio Sorrentino

Cosa si cela nella mente di un genio? Quali sono i trucchi del suo successo, e si tratta veramente del frutto delle sue sole capacità? E se il genio è un regista molto temuto poiché sono girate molte voci sulla sua intransigenza, sulla sua ossessione per il particolare, per il rendere vero ciò che risulta falso, come si può spiegare il suo successo a livello internazionale? Ecco, il suo migliore amico può rispondere a queste semplici domande: Emilio D’Alessandro, un italiano di Cassino e emigrato a Londra, ha raccontato la vera storia dietro la leggenda di Stanley Kubrick nel libro Stanley Kubrick e me.

Pubblicato nel 2012 dalla casa editrice Il Saggiatore a cura di Filippo Ulivieri – dal 1999 il curatore di ArchivioKubrick, il più completo database online sul regista di 2001: Odissea nello spazio –, il libro racconta i trenta anni di vita e di lavoro che Emilio D’Alessandro ha passato a Londra alle dipendenze del tanto amato regista. Ma chi è l’autore di questo libro?

Da sinistra: Emilio D’Alessandro e Stanley Kubrick

Tutto inizia nel 1960. Emilio, all’età di diciannove anni, si rifugia a Londra per sfuggire alla leva militare e si stabilizza nella capitale inglese. Nel 1962 sposa Janette e con lei ha due figli, Marisa e Jon-Pierre. Lavora prima come tuttofare, poi come inserviente, giardiniere, dopo in una fabbrica come addetto alla manutenzione dei macchinari e come meccanico in un’officina. Appassionato di auto e delle corse automobilistiche, si iscrive alla scuola di guida sportiva nel 1967 e, completato il corso, l’anno seguente debutta nella Formula Ford gareggiando contro piloti come James Hunt (famosissimo pilota inglese di Formula 1 e rivale di Niki Lauda).

A causa della crisi economiche e delle forti tensioni sociali con le lotte sindacali in tutta la Gran Bretagna alla fine degli anni Sessanta, Emilio perde il lavoro in fabbrica ed è costretto, per mantenere la famiglia, a fare qualsiasi lavoro reinventandosi come autista di taxi privati di Borehamwood nel 1970, accompagnando principalmente attori e registi della Associated British Pictures.

Stanley Kubrick

Sempre lo stesso anno gli viene chiesto di trasportare un grosso fallo di porcellana dagli studi di Borehamwood fino a un appartamento di Thamesmead. Quello che però D’Alessandro non sapeva è che quella scultura, la Rocking Machine di Herman Makkink, sarebbe diventata iconica grazie a un film famoso e controverso che sarebbe uscito qualche anno dopo nelle sale cinematografiche, ovvero Arancia Meccanica.

L’anno seguente Emilio D’Alessandro viene convocato presso la villa di Abbots Mead, alla periferia di Londra, e fa il suo primo colloquio con il famosissimo regista Stanley Kubrick per il posto di autista personale: nasce così il loro rapporto di lavoro e di amicizia profonda.

Emilio D’Alessandro

Nelle trecentoquarantuno pagine di questo bellissimo libro di ricordi, Emilio D’Alessandro, attraverso le parole, ci fa vivere quei momenti felici, concitati, difficili e di fatica che lui ha vissuto a fianco del regista americano, diventando nel corso degli anni non soltanto il suo autista, bensì il suo tutto fare. Assistente personale, segretario, idraulico, l’uomo che accudiva gli animali che Kubrick amava (teneva in casa sia i cani che i gatti), il custode della casa e amico più confidente.

Emilio ha visto in prima persona come lavorava Kubrick quando doveva girare un film: dalle prime fasi della produzione, attraverso la ricerca delle fonti storiche, delle location, sino ai singoli incontri che il regista teneva insieme agli sceneggiatori con cui decideva di collaborare per la realizzazione del film. Emilio era incaricato di prendere tutti i nuovi collaboratori e portarli nella villa di Abbots Mead, di mettere a proprio agio i nuovi arrivati e carpire tutte le loro impressioni e pareri per riferirli a Kubrick, il quale avrebbe fatto tesoro di queste informazioni per lavorare al meglio con i suoi nuovi collaboratori e non perché era un despota sul set, ma perché – come ci racconta D’Alessandro – tutto ciò che veniva raccontato nei giornali su Kubrick, per citare Andros Epaminondas (assistente alla produzione del regista) era «a load of shit», delle bugie che cozzavano con la realtà. Al contrario di quanto forse si possa pensare, Kubrick era un uomo molto disponibile e gentile, amante del suo lavoro e delle persone con cui collaborava e che richiamava molto spesso.

D’Alessandro e la famiglia Kubrick

The governor, l’appellativo con cui veniva chiamato dai tecnici Stanley Kubrick durante le riprese di Barry Lyndon, il primo vero lavoro sul set di Emilio D’Alessandro come assistente personale del regista, non si incollava molto bene all’uomo che stava dietro la cinepresa. Riservato, riflessivo, amante della compagnia di persone che stuzzicassero la sua curiosità e appassionato di storia militare, il regista americano che ci descrive l’amico D’Alessandro si scontra violentemente con questo “governatore”; anzi, l’interesse, la disponibilità e la cura che aveva verso le persone che ci racconta Emilio dissipano ogni dubbio. Ad esempio, durante le riprese di Full Metal Jacket una delle comparse che interpretava il soldato domandò allo stesso Emilio se era possibile chiedere a Stanley Kubrick di inquadrarlo almeno una volta per metterlo nelle referenze. La richiesta non solo fu esaudita, ma Kubrick scrisse una lettera di referenze per il giovane attore, lodando le sue qualità attoriali e la dedizione al lavoro durante le giornate di riprese. Come ha scritto Emilio D’Alessandro nel suo libro, per il ragazzo fu un lasciapassare per tutte le scuole di recitazione negli Stati Uniti d’America.

Emilio D’Alessandro con il modellino dell’Overlook Hotel di Shining

Emilio D’Alessandro ha lavorato per trent’anni con Stanley e ha visto le fasi di produzione, di girato e di montaggio dei suoi quattro capolavori dell’epoca londinese: Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut. Di questi film, diventati famosissimi in tutto il mondo, D’Alessandro ha avuto modo di conoscere gli interpreti, gli sceneggiatori e tutti i tecnici che vi hanno partecipato. È stato anche autista di Jack Nicholson, il protagonista di Shining, di Rayan O’Neal e Marisa Berenson (Barry Lyndon), e ha conosciuto Tom Cruise e Nicole Kidman. In Eyes Wide Shut, Emilio D’Alessandro ha fatto la comparsa, interpretando il giornalaio dell’edicola dove Tom Cruise compra il giornale.

Sono tanti gli aneddoti e le storie che andrebbero citati sui fatti accaduti durante le riprese, ma ciò che colpisce maggiormente il lettore – e ha colpito il recensore – è il rapporto di profonda amicizia creatosi in quei trent’anni di lavoro tra Emilio D’Alessandro e Stanley Kubrick.

Da una lettura poco attenta, può sembrare un’amicizia un po’ bislacca, essendo i due uomini molto diversi: Emilio era un appassionato di auto da corse ed ex pilota, Kubrick non amava le auto e faceva molti incidenti, addirittura entrava nel panico non appena D’Alessandro andava a gareggiare nei fine settimana; Emilio non amava andare al cinema, aveva visto pochi film e il suo genere preferito erano i western, Stanley era uno dei migliori registi viventi al mondo. Una strana coppia, eppure Kubrick aveva affidato le chiavi di casa ad Emilio, gli aveva chiesto di insegnare a guidare l’auto alle sue tre figlie, Katharina, Anya e Vivian; aveva affidato la cura dei suoi amati animali, cani e soprattutto gatti, a Emilio, il quale ogni qualvolta uno di loro stava male doveva correre immediatamente a chiamare il veterinario e dare assoluta assistenza per far rimanere tranquillo e in pace il “dispotico” regista. Tutto questo si spiega perché nella fattispecie l’uomo che stava dietro la macchina da presa era non solo riflessivo, attento al particolare, dedito al lavoro e al sapere, ma era anche un animo pieno di amore verso le persone con cui instaurava un legame profondo e dalle quali non voleva allontanarsi.

La separazione dalle figlie, come ci racconta D’Alessandro, avvenuta per ovvi motivi di età, causò molte preoccupazioni e insicurezze dentro l’animo di Kubrick, come molto turbamento e dolore causò il preavviso che Emilio D’Alessandro diede nel 1990 di voler lasciare il lavoro per tornare in Italia insieme alla moglie per godersi la pensione. Un preavviso di due anni, tutto calcolato da Emilio di modo da non lasciare Stanley in difficoltà, vista la mole di lavoro che avrebbe ereditato chi sarebbe venuto dopo di lui. Kubrick non cercò mai un sostituto, nessuno avrebbe potuto sostituire Emilio nella sua vita. Per l’ultimo giorno di lavoro di Emilio, Stanley organizzò una festa a sorpresa, insieme agli amici più intimi e alla famiglia. Passarono molto tempo insieme e, alla fine della serata, Stanley in lacrime pregò un ultima volta Emilio di non lasciare Londra.

I due si ritrovarono nel 1997, Stanley avrebbe iniziato le riprese di Eyes Wide Shut e non lo avrebbe fatto senza il suo grande amico. Così iniziò l’ultimo lavoro di Stanley Kubrick ed Emilio D’Alessandro, che lo accompagnò fino al suo ultimo giorno, quella domenica 7 marzo 1999, a causa di un arresto cardiaco, forse per la grande stanchezza che aveva accumulato nel corso del tempo. Emilio ricorda quel giorno con immensa sofferenza e noi lettori non possiamo che provare lo stesso dolore nel leggere le ultime pagine di questo magnifico libro.

Filippo Uliveri, curatore di ArchivioKubrick

Stanley Kubrick e me è sicuramente un libro fondamentale per tutti i cinefili, ma è anche un ottimo spunto per i non appassionati che vogliono sapere qualcosa di più sullavita di uno dei più grandi geni del cinema. Dietro all’apparenza dell’immagine distorta delle maldicenze e dei gossip, si cela in realtà l’immagine di un uomo con un cuore pieno di amore verso il prossimo e che aveva trovato in un pilota di Formula Ford, che non aveva mai visto un suo film, un vero amico.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Eugenio Sorrentino

Nato a Palermo nel 1992, si diploma presso il liceo scientifico statale Benedetto Croce della propria città. Subito dopo la scuola ha iniziato gli studi di recitazione e di approfondimento di teatro e cinema, le sue passioni. 

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