10 Maggio 2023

Attraversare le tenebre per ritrovare la luce. “Il buio non fa paura” di Pier Lorenzo Pisano

di Sofia Sercia

L’assenza di luce, l’oscurità che inghiotte ogni cosa, è sempre stata una delle paure primordiali dell’uomo. Si teme sempre che il buio celi mostri terrificanti e figure spettrali pronte a ghermirci. La notte fa sentire impauriti e disorientati. Il significato simbolico di questa condizione può sottendere tuttavia anche un effetto positivo, nel senso che occorre prima attraversare la propria notte interiore, nella quale si è obbligati a far fronte alle nostre paure più recondite, per potere trovare di nuovo la luce.

Proprio questo è il tema del romanzo d’esordio di Pier Lorenzo Pisano, Il buio non fa paura, pubblicato nel 2021 dal giovane regista — già autore di cinema e teatro — con la casa editrice NN. Pisano, che si è sempre interessato a un tipo di narrazione ricca di simboli e metafore, con questo romanzo ha concepito una suggestiva fiaba moderna

La storia è quella di Giulio, Matteo e Gabriele, tre fratelli che vivono serenamente in un piccolo villaggio con i loro genitori, ma che si trovano ad affrontare la perdita prematura della madre. I tre bambini devono improvvisamente fare i conti con un dolore troppo grande da gestire razionalmente. Il padre, la figura adulta che dovrebbe fornire loro una spiegazione logica a tutta la sofferenza che stanno vivendo, non sembra essere meno afflitto e smarrito di loro ed è quindi incapace di aiutarli. I bambini dovranno imparare da soli a gestire la loro angoscia. Mentre la famiglia affronta il dolore, un altro mistero coinvolge gli abitanti del villaggio: una creatura mostruosa sembra aggirarsi nel bosco, minacciando l’incolumità di tutti.

Pier Lorenzo Pisano

Le vicende si svolgono all’interno di due luoghi principali, complementari e contrapposti. Il primo ambiente è la casa in cui la famiglia vive, cornice dei dolci giochi dell’infanzia, del calore e della sicurezza domestica. Al di fuori si stende il bosco, che rappresenta l’ignoto, ciò che va oltre i confini di quello che è familiare e che per questo incute timore. Le mura domestiche però, a causa della dipartita della madre, smettono di essere il focolare sereno e rassicurante di un tempo. Perso ogni punto di riferimento, è necessario avventurarsi nel bosco: attraversare l’ignoto per scoprire qualcosa in più su sé stessi e sul come e perché si innesca il dolore.

Un gran numero di fiabe, se ci pensiamo, iniziano con l’entrata in un bosco o nella foresta. Accade in Cappuccetto Rosso e in molte di quelle scritte dai fratelli Grimm come, ad esempio, in Hansel e Gretel. Addentrarsi nel bosco rappresenta il pericolo, ma è anche il luogo in cui si impara ad affrontare le difficoltà, in cui si comprende che bisogna lasciarsi alle spalle ciò che si ha più di più caro per riuscire a evolversi e a crescere; questo è quanto accadrà anche ai protagonisti di questa storia.

In Il buio non fa paura il bosco è sempre associato all’assenza di luce. Nonostante l’oscurità sia una delle paure più grandi di tutti i bambini, i tre fratelli, soprattutto i più piccoli, ne sono inspiegabilmente attratti. Non vogliono rimanere in casa, dove hanno perso la madre, dove hanno perso tutta la loro ingenua fiducia nel presente; dunque, si convincono che il bosco e l’oscurità là fuori nascondano dei segreti che possano aiutarli ad attutire il loro sconforto. La notte è il luogo in cui l’immaginazione può finalmente prendere il sopravvento sulla realtà per riuscire a vedere quello che si desidera: «Gabriele sente un calore nuovo, mentre la montagna si spegne, tutto quello che prima gli faceva paura, l’odore umido della sera, il silenzio, il buio, adesso lo fa stare bene, in tutte queste cose adesso riconosce dei piccoli pezzettini di lei, in ogni movimento delle chiome degli alberi immagina sua madre, in ogni odore di muschio riconosce il suo profumo, in ogni verso di animale sente la sua voce, non sa nemmeno lui perché, ma non vede l’ora, tutti i giorni, che torni la notte».

L’autore sceglie quindi la forma della fiaba per raccontare la sua storia, un tipo di narrazione che ha la peculiarità di possedere una grande capacità trasformativa. Dietro alle metafore scelte, infatti, gli elementi realistici restano sempre chiaramente percepibili. In questo senso, è significativo il fatto che i protagonisti siano proprio dei bambini: è come se vedessimo la realtà attraverso i loro occhi ingenui, che non sanno spiegarsi in maniera razionale quello che sta accadendo, ma che riescono comunque a intuirne il senso profondo. Italo Calvino diceva a tal proposito: «Io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi».
Gli elementi surreali sono qui strumenti per la rielaborazione di una dimensione fantastica di cui però è sempre possibile intravedere i presupposti spiccatamente realistici.

Pisano, attraverso il mondo suggestivo e fiabesco da lui descritto, ci insegna che il buio, anche se rappresenta talvolta il dolore e la perdita dei punti di riferimento, non deve terrorizzarci, perché è parte imprescindibile dell’esperienza umana. Bisogna attraversare la notte buia, perché è nell’oscurità che la fantasia e i sogni si sovrappongono per aiutarci a riscoprire il senso del presente e a ritrovare la luce.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Sofia Sercia

Nata a Milano il 14 giugno 1998. Dopo aver frequentato il liceo linguistico Alessandro Manzoni, si laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano. Nel 2022 ha conseguito un master in editoria presso la Villaggio Maori Edizioni. Attualmente collabora con San Paolo Edizioni alla redazione di testi per la rivista PagineAperte.

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