4 Giugno 2021

Un Vangelo secondo Pasolini. “Il Vangelo secondo Matteo”, regia di Pier Paolo Pasolini

di Giada Di Pino
Il Vangelo secondo Matteo, regia di Pier Paolo Pasolini (1964)

Come tutte le opere di Pasolini, che si tratti di narrativa, poesia o cinema, anche questo film da lui diretto è incredibilmente eversivo

Uscito nelle sale cinematografiche nel 1964, la pellicola fece, ovviamente, scandalo, parola indissolubilmente legata a Pasolini, e fu oggetto di aspre critiche e polemiche. Girato in diverse località italiane, dalla Puglia alla Calabria, dal Lazio alla Sicilia e alla Basilicata, il film riproduce integralmente e fedelmente, a eccezione di qualche lieve inversione temporale di alcuni avvenimenti, il Vangelo di san Matteo. 

Persino la sceneggiatura, curata personalmente dal regista, è basata esclusivamente su quanto è scritto nel Vangelo: non viene tolta né aggiunta battuta alcuna, di Gesù o degli apostoli o degli altri personaggi, che non sia accuratamente tratta dal resoconto di Matteo. Questo, in linea teorica, non dovrebbe essere motivo di accusa di vilipendio alla religione, anzi, dovrebbe essere un elemento tutto a favore della religiosità del film.

Dove stanno allora gli elementi di novità e di eversione sopra menzionati? Innanzitutto, nella crudezza realistica con cui sono riprodotte le scene di violenza. Non può non sconvolgere lo spettatore la scena in cui, proprio all’inizio del film, i soldati mandati da Erode a uccidere i neonati nel tentativo di eliminare quel Re dei Giudei appena venuto al mondo, strappano i bambini dalle braccia delle madri urlanti e li trucidano nei modi più spietati e disumani. 

Raramente gli atti di violenza sui bambini vengono riprodotti sul grande schermo ancora tutt’oggi; nei primi anni ‘60, in cui già si condannava la riproduzione della violenza anche sulla carta, era assolutamente intollerabile. 

I bambini, tuttavia, sono spesso presenti nel film, collocati accanto a Gesù, che siede in mezzo a loro, si circonda degli innocenti e rivolge continuamente loro i suoi sguardi e i suoi sorrisi più dolci, fino a mormorare ai suoi discepoli, inondato dalla tenerezza, quel famoso «in verità vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli […] e chI accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Matteo 18, 1-5) . 

Un Gesù, questo di Pasolini, interpretato da un giovanissimo Enrique Irazoqui Levi, scelto proprio per il suo volto bellissimo ed espressivo, che non può fare a meno di incidersi nella memoria di chi lo guarda.

Un Gesù, dicevamo, rappresentato come mai era stato fatto finora

Il Gesù di Pasolini non è mite, non è serafico, non ha quella aurea mistica di accettazione passiva degli eventi, rassegnato a compiere la sua missione, e in lui la divinità non prevale sull’umanità

Il Gesù di Pasolini è spaventosamente umano, tangibile, reale, incredibilmente inquieto. Il suo volto, i suoi gesti, il suo piglio deciso mostrano non solo un carattere forte, ribelle, combattivo, autorevole, a tratti anche sottilmente beffardo, soprattutto quando parla con i farisei e gli scribi del tempio, ma anche la profonda inquietudine che lo agita, perché è un Gesù che ama la vita e che soffre al pensiero del sacrificio che deve compiere e per il grande peso che gli è stato posto sulle spalle. 

Eppure, come storicamente è stato, è un Gesù docile, che si sottomette alla volontà del Padre suo, perché è terribilmente consapevole dell’importanza della sua missione.

Inoltre, Gesù è in viaggio. Continuamente in cammino. Ripreso per massima parte di spalle, col viso appena rivolto ai discepoli che continuamente ammaestra, la missione di Gesù, sembra dirci Pasolini, non è solo ed esclusivamente la sua morte, anzi. La passione è solo l’epilogo, l’ultima tappa del viaggio di Cristo sulla terra, il cui fulcro sta nella diffusione e nella proclamazione della parola di Dio

Ed è questo che il Gesù di Pasolini fa per gran parte del film: parla, cammina, compie miracoli. E i discepoli lo seguono, attoniti spesso, confusi e poco convinti delle sue parole, ma attratti dalla sua personalità magnetica e coinvolgente.

Un’ultima caratteristica di questa pellicola è che gli attori scelti da Pasolini non sono professionisti. Lo stesso Enrique Irazoqui era uno scacchista e un accademico, e tra i discepoli figurano intellettuali e amici di Pasolini, quali Alfonso Gatto ed Enzo Siciliano; Francesco Leonetti nei panni di Erode Antipa e Natalia Ginzburg in quelli di Maria di Betania. E chi meglio di Susanna Pasolini, il cui figlio Guido, fratello del regista, nella guerra partigiana, poteva interpretare Maria sotto la croce?

Sono passati quasi sessant’anni dalla produzione di questo film, ma esso, come tutte le grandi opere d’arte, resta incredibilmente attuale.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giada Di Pino

Ha lavorato presso la Leonida Edizioni, ha frequentato il Master in Editoria della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e ha svolto uno stage presso Il Saggiatore. Oggi lavora come editor freelance e come insegnante. 

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