11 Settembre 2021

Tra Indiana Jones e Jack Sparrow. “Jungle Cruise”, regia di Jaume Collet-Serra

di Antonio Messina

Dopo aver spremuto il precedente franchise di successo, con un quinto film che ha inutilmente lasciato più domande che risposte – parliamo, ovviamente, di Pirati dei Caraibi -, la Disney ci propone un film basato su una delle principali attrazioni dei propri parchi a tema e sembra riuscirci con notevole semplicità.

La leggenda narra che nella seconda metà del 1500 i conquistadores spagnoli abbiano attraversato il Sud America alla ricerca di un albero che producesse dei petali definiti “Lacrime della Luna”, i quali pare avessero delle proprietà curative senza precedenti. 

Nel 1916 a continuare questa ricerca è la dottoressa Lily Houngton (Emily Blunt) e suo fratello MacGregor (Jack Whitehall); dopo il rifiuto ricevuto dalla Royal Society per finanziare la spedizione, Lily decide di recuperare per conto suo la Punta di Freccia, un artefatto che dovrebbe, secondo le ricerche, dare accesso all’albero. Così, dopo una non poco rocambolesca e buffa fuga, i due partono per il Brasile, intenti ad attraversare il grande Rio delle Amazzoni. 

Sarà Frank Wolff (Dwaine “The Rock” Johnson) ad accompagnare i due studiosi alla ricerca delle Lacrime della Luna, poiché è l’unico in grado di poterli portare a destinazione sani e salvi. Sulle tracce dell’albero, però, c’è anche un principe tedesco che minaccia più volte di far fallire l’impresa.

Jungle Cruise porta una ventata di esotismo con una punta di horror (il regista, Jaume Collet-Serra, è autore di diversi film del genere), in casa Disney e fa svestire i panni degli eroi duri e puri ai due attori che finalmente possono interpretare il più leggero ruolo di esploratori, in una storia che ha il sapore classico delle avventure ricche di mistero e magia a cui la Disney ci ha sempre abituato. 

Ma esso è anche il risultato di ciò che si ottiene quando si mescolano due importanti franchise quali lo stesso Pirati dei Caraibi e Indiana Jones: i protagonisti sono sgangherati, le soluzioni spesso al limite della parodia. Lily ci ricorda una versione femminile del famigerato cacciatore di tesori; l’ambientazione ci riconduce ai paradisi dell’America del Sud a cui ci aveva abituato la saga del dinoccolato Jack Sparrow; il principe tedesco è una parodia del colonnello Dietrich e il mistero che si cela dietro la vera storia delle Lacrime di Luna rimanda molto alla già ben nota storia di Davy Jones.

Jungle Cruise non è, però, un film che ricalca le altre pellicole Disney: che siano casuali o meno i rimandi alle due saghe citate, gli elementi da cui è composto sono quelli delle storie che abbiamo imparato a conoscere da ragazzini. Si rifà a storie più vicine a quelle di Verne o Stevenson che, a loro volta, hanno ispirato i film. 

Il lavoro di Collet-Serra, come di norma ormai, segue le necessità del nostro tempo: è family e gender friendly, si schiera dalla parte delle minoranze e dei popoli sottomessi dalla tirannia dell’Occidente e conserva un occhio di riguardo per l’ambientalismo, in quanto il Rio che vediamo nel film è veramente molto diverso da quello attuale, oggi molto meno rigoglioso e ospite di diverse specie animali a rischio.

In ultima analisi, la coppia Johnson/Blunt sembra funzionare bene e gli attori sono palesemente più rilassati rispetto a come li vedevamo nei film di Fast & Furious o A Quiet Place. Tuttavia, Emily Blunt è un’attrice che da il meglio di sé sul set cinematografico soprattutto quando è affiancata dal marito (John Krasinski) e poiché il film si presta a diventare il primo di una saga, siamo sicuri che i due avranno modo di rodare il loro rapporto e rendere i titoli successivi ancora più divertenti.

Ci auguriamo solo che il franchise non faccia la stessa fine delle due saghe citate e che la Disney saprà riconoscere quando fermarsi. Almeno questa volta.

Durante il periodo fascista, il materiale proveniente da oltreoceano e dall’Europa venne confiscato e censurato, impedendo di fatto all’industria cinematografica ed editoriale di conoscere – e dunque di esserne “contaminata” – nuovi generi, quali ad esempio il fantasy e la fantascienza che, invece, tra Europa e America, andavano espandendosi a macchia d’olio. 

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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