10 Settembre 2022

Thor: Love and Thunder – Troppa poca libertà?

di Antonio Messina

In occasione del D23, l’evento fieristico dedicato al mondo Disney e Marvel che si terrà a partire dal 9 settembre ad Anaheim, da giorno 8 sarà disponibile su Disney+ l’ultima fatica di Taika Waititi: Thor: Love and Thunder, un film che ha saputo sorprendere nonostante tutti i suoi difetti e le libertà che il regista ha potuto prendersi. Ma procediamo con ordine.

Thor – Love and Thunder, regia di Taika Waititi (2022).

L’ultima volta avevamo visto il figlio di Odino in piena crisi esistenziale, depresso, ridotto a un ubriacone incapace di reagire. Comprensibile che anche un dio si deprima dopo aver perso madre, padre, fratello e aver permesso al più grande distruttore di tutti i tempi di dimezzare l’Universo con il solo schiocco delle dita e un guanto. Per fortuna, nonostante le fattezze di un Lebowski più pigro che mai, la fine di Avengers: Endgame è riuscita a risollevare il personaggio e rendere giustizia alla sua potenza e al suo nome. Due anni dopo, Thor ha recuperato il proprio peso forma e potenziato la propria forza di volontà, riuscendo apparentemente ad adottare un approccio differente in battaglia, più “pacifico”; adesso vaga per l’universo con i Guardiani della Galassia salvando civiltà e pianeti, tralasciando così le minacce sulla Terra di cui si stanno comunque occupando già altri supereroi. Ma la minaccia più grande lo attende nell’ombra: Gorr (Christian Bale) sta uccidendo tutte le divinità grazie alla Necrospada, una potentissima arma capace di uccidere qualsiasi essere vivente. Thor è così costretto a intervenire insieme a Korg (Taika Waititi), Valkyria (Tessa Thompson) e due capre urlanti. Nel frattempo, sulla Terra sta per nascere una nuova supereroina in grado di impugnare nuovamente il leggendario martello distrutto da Hela in Thor: Ragnarok e con la quale il figlio di Odino sarà costretto a confrontarsi per scoprire una sconcertante verità.


Thor: Love and Thunder tenta di riadattare due archi narrativi scritti da Jason Aaron e Russell Dauterman, pubblicati tra il 2012 e il 2019. Se nel primo vediamo Thor combattere contro il Macellatore di Dei, assetato di vendetta contro gli dèi, nel secondo assistiamo alla nascita della Potente Thor, dopo che il Thor originale è diventato indegno di impugnare Mjolnir.


Le differenze, com’è logico che sia, tra le storie a fumetti e il film sono molteplici, ma due di esse sono più evidenti di altre, soprattutto per chi ha letto gli originali: si tratta del tono della pellicola e del personaggio stesso di Gorr. Waititi e Jennifer Kaytin Robinson hanno preso molto dai due archi narrativi, rendendo comica una storia che di comico in realtà non ha nulla. Il che non è per forza un difetto, attenzione: rendere più leggere certe situazioni con battute o scene esilaranti non è una colpa e bisogna sempre fare una distinzione tra i due media. In genere il cinema, essendo un mezzo di comunicazione di massa e non di nicchia come i fumetti, è fatto per accontentare un po’ tutti quanti. Thor: Love and Thunder intrattiene lo spettatore come solo un film di Waititi sa fare, con situazioni adesso serissime, adesso incredibilmente paradossali e divertenti. Soprattutto quando i nostri eroi entrano ad Omnipotence City per cercare aiuto e, eventualmente, recuperare l’unica arma capace di contrastare l’ira e l’avanzata di Gorr. Qui assistiamo forse a uno dei combattimenti dal finale più folle e divertente possibile tra tutti i combattimenti visti finora nell’intera saga dedicata al Dio del Tuono.
Christian Bale, dal canto suo, interpreta un villain che si schiera tra quelli più grigi – e non ci riferiamo solo al colore della sua pelle – finora partoriti dal MCU. Uno di quei cattivi che non lo sono davvero e che agiscono in modo malvagio solo per scopi puramente nobili, al punto tale che lo spettatore alla fine del film si ritrova a empatizzare con il personaggio. Non è tuttavia questo il problema del Gorr cinematografico: il personaggio di Bale, in cui l’attore si cala in toto, nonostante quella che sembra una scrittura povera di mordente, ha davvero poco spazio all’interno del film e non ci mostra importanti momenti che avrebbero potuto invece dargli tridimensionalità e rendere Thor: Love and Thunder  più cupo. Il film è il più breve della saga e purtroppo i limiti del minutaggio si abbattono come un’ascia proprio sul villain. Un vero peccato, perché ciò che viene fatto in presenza di Gorr dal punto di vista scenografico è incredibile: essendo in possesso della Necrospada – in origine appartenente a…? –, egli è in grado di muoversi all’interno delle ombre e degli spazi bui. La sua presenza toglie letteralmente colore a tutto ciò che ha attorno e la fotografia su questo piano è magistrale, laddove l’unico colore a spiccare è quello dorato dell’unica arma che potrebbe abbatterlo.
È evidente, purtroppo, che per quanta carta bianca possa aver avuto il regista, alla fine del montaggio molte scene con il Macellatore di Dei siano state eliminate. Anche la condizione reale della Potente Thor sembra essere stata esposta in maniera superficiale, laddove invece avrebbe meritato uno sviluppo più concreto e al contempo delicato e non ridotto all’osso, quasi togliendole spessore e importanza. E la stessa Potente Thor subisce una riscrittura più comica in alcuni frangenti, mentre in altri si mostra essere davvero ”potente” come il suo nome suggerisce, passando quindi da un estremo all’altro. Cosa c’è in mezzo? Come ha assunto il pieno controllo dei propri poteri e del Martello?
Ed è in questo, forse, che lei e Gorr sono perfettamente sovrapponibili dal punto di vista della scrittura: due personaggi che entrano in contatto con un oggetto dal grande potere, destinati a esserne in qualche modo sopraffatti, senza che dietro ci sia una vera e propria evoluzione.


A conti fatti, Thor: Love and Thunder è un prodotto sfornato per intrattenere lo spettatore nell’ora e mezzo che si prende; ci mostra un Thor ancora meno dio del tuono di quanto non lo fosse in Thor: Ragnarok e fa divertire parecchio, per arrivare a un finale carico di pathos ma scontato. Potremmo perfino dire che questo quarto capitolo nulla toglie e nulla aggiunge davvero alle trame fino ad ora imbastite nel MCU, se non fosse per una delle due scene dopo i titoli di coda che, come in Eternals, ci presenta un nuovo personaggio che apre le porte a nuovi progetti dal potenziale illimitato.


Non sappiamo con esattezza quali saranno le sorti del figlio di Odino nel MCU e non è detto che al D23 venga annunciato un progetto che lo riguardi da vicino, ma con molta probabilità la prossima e ultima volta che lo vedremo sarà in Guardiani della Galassia VOL.3 e dobbiamo accettare una volta per tutte  la realtà dei fatti: il dio del tuono cinematografico è molto più scanzonato e caciarone di quanto non lo sia nei fumetti o nella nostra immaginazione. Un guerriero, sì, ma che non ha mai voluto prendersi sul serio, perché alla fine dei conti è forse questo che dovrebbe fare lo spettatore stesso: andare al cinema con il cuore leggero, privo di aspettative, se non quella di essere intrattenuto.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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