17 Settembre 2022

Lightyear – Verso l’infinito… O quasi!

di Antonio Messina

È il 3901, gli Space Ranger Buzz Lightyear e Alisha Hawthorne viaggiano a bordo di un’enorme astronave, “La Rapa”, con dentro un folto equipaggio di militari e scienziati in ibernazione, alla ricerca di nuovi pianeti e forme di vita intelligenti. Il sistema di bordo li indirizza su un pianeta sconosciuto che nel giro di pochi minuti si rivela essere più ostile che mai. Durante le manovre di fuga, Buzz fa male i calcoli e la nave, a causa della distruzione di un cristallo che permette di viaggiare attraverso l’iperspazio, rimane bloccata sul pianeta. Così, mentre i residenti dell’astronave costruiscono una piccola colonia in un luogo desolato che non ha nulla da offrire per la sopravvivenza dell’essere umano, Buzz si assume la responsabilità di quanto accaduto e decide di testare i nuovi cristalli, creati per permettere all’equipaggio di tornare sull’astronave e riprendere il viaggio. Il primo test fallisce e al suo ritorno Buzz scopre che sul pianeta sono passati quattro anni e non quattro minuti…

Lightyear – La vera storia di Buzz, regia di Angus MacLane (2022).

Ma non vi raccontiamo la trama, facciamo piuttosto un passo indietro: Buzz Lightyear lo avevamo già visto da qualche parte, non è certo un personaggio creato ex novo dalla Disney con lo scopo di dare inizio a una nuova trilogia. Nel 1995, infatti, è uscito uno dei cartoni in CGI più innovativi della Pixar, Toy Story, portando con sé una ventata di novità in un cinema che raramente riusciva a creare titoli di spessore con una certa qualità grafica. Certo, non si era ancora ai livelli di Coco o Raya e l’Ultimo Drago, ma ciò che Toy Story ha rappresentato per le generazioni di quel tempo è quello che a tutti gli effetti può essere definito come un film animato di formazione. Il cartone raccontava la storia di un gruppo di giocattoli senzienti, autonomi, che vivevano le loro avventure anche in assenza del loro proprietario, Andy. Ciò  risvegliava negli adulti vecchie e piacevoli fantasie, mentre nei bambini confermava in qualche modo l’idea che nelle loro case, mentre erano distratti, dormivano o erano fuori, fosse possibile che i giocattoli prendessero vita. Il film affrontava, inoltre, temi delicati come l’importanza di instaurare dei legami solidi e sani, la capacità di dare fiducia al prossimo, di capire e accettare un cambiamento. 

Buzz Lightyear in Toy Story si ritrova catapultato dentro un mondo che non lo accetta subito e che, addirittura, sembra essergli ostile: lo Space Ranger, infatti, è una potenziale minaccia per il rapporto tra Andy, Woody e gli altri giocattoli, che potrebbero vedersi sostituiti dall’ultimo arrivato. Eppure, il Buzz che Andy compra e porta a casa non è lo stesso Buzz dello spin-off ideato da Jason Headley e Angus MacLane.
Le origini del personaggio sono state scritte in modo tale che Lightyear possa essere visto sia da chi non conosce i vecchi film, sia da chi è un appassionato della saga storica. Il protagonista, infatti, altro non è che il personaggio principale dell’omonimo film preferito di Andy. Quella che lo spettatore va a vedere in sala, dunque, è potenzialmente la stessa avventura che sta guardando anche il proprietario dei giocattoli di Toy Story!

L’idea del metafilm risulta particolarmente interessante e permette di entrare in perfetta sintonia con il personaggio di Buzz e osservare lo scorrere delle vicende tra una minaccia, un viaggio nell’iperspazio e qualche risata, senza doversi preoccupare di tenere a mente o recuperare le vicende dei film precedenti. La pellicola funziona in maniera autonoma e raggiunge l’obiettivo di dare allo spettatore una storia che non vuole prendersi troppo sul serio, che non pretende di essere chissà quale prequel e, soprattutto, che risulta piacevole per tutti. 

Lightyear ci mostra il carattere sicuro e forte di Buzz, un umano e non un giocattolo. Un umano che ha dedicato la sua vita allo spazio e al compimento di missioni cruciali, per orgoglio prima e per un moto di altruismo poi. Come tutti gli eroi che si rispettino, anche lui ha una sua controparte malvagia, già ben nota ai fan di Toy Story: Zurg, un enorme mecha spaziale pronto a impossessarsi della tecnologia per poter viaggiare nel tempo. Non vogliamo svelarvi troppo, ma le origini del villain potrebbero valere tutto il prezzo del biglietto!
La resa tecnica di Lightyear è figlia del nostro tempo e del nostro cinema: vederlo in sala su uno schermo adeguato può regalare solo stupore, grazie alla magnificenza dei paesaggi, alla rappresentazione del volo e agli scontri tra Buzz e Zurg. Ma, a pensarci bene, finisce tutto qui: una buona resa grafica e un bel film animato di fantascienza, ma con una trama che alla fine dei conti ha poco mordente laddove avrebbe potuto, invece, osare di più. 

L’intreccio fatica quasi a decollare e rallenta perfino la storia d’amicizia tra i due Space Ranger, complici i continui tentativi di Buzz di salvare la colonia. Non basta la presenza di un personaggio-nodo per colmare il vuoto di non aver vissuto a pieno la vita e Zurg sarà proprio l’emblema di questo senso di colpa. Alle mani del villain viene affidato il barlume della consapevolezza, un espediente che, per quanto poco originale, dà al film quel tono di drammaticità e conflitto necessari a far sì che il protagonista compia il suo destino, facendo ciò che è giusto per tutti. Anche in questo caso però sembra che manchi qualcosa: come se al “viaggio dell’eroe” si sia deciso di tagliare alcune fasi per arrivare direttamente al raggiungimento dell’oggetto del desiderio, al cosiddetto “Nuovo Mondo”.
Si ha, principalmente, la sensazione di aver visto veramente un film su un qualunque astronauta che tenti di salvare il proprio pianeta e sé stesso. Così, mentre le nuove generazioni escono dalla sala soddisfatte per aver visto un film simpatico, piacevole e colorato, quelli della vecchia guardia rischiano di arenarsi nel paragone tra il Buzz di questo film e quello di Toy Story. 

Rimane dunque un retrogusto amaro in bocca: la consapevolezza che, per quanto si provi a scrivere qualcosa di nuovo, alla fine il tentativo sarà sempre quello di riportare alla ribalta, zoppicando malamente, vecchie glorie che a volte dovrebbero semplicemente restare lì dove sono, nel cassetto delle infanzie che furono.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

Leggi di più


Potrebbe interessarti: