5 Febbraio 2022

Ghostbusters: Legacy

di Antonio Messina

Chissà cosa passava per la testa degli sceneggiatori e del regista che hanno tirato fuori questo sequel di Ghostbusters quando decisero di scriverne la storia. Quello che è chiaro, però, è che al giorno d’oggi il cinema internazionale sta vivendo un periodo molto particolare: basterebbe guardarsi un attimo intorno per rendersi conto che la maggior parte dei prodotti sono sequel, remake e reboot, e il fenomeno tocca il cinema come la televisione e il settore videoludico. La sensazione che abbiamo, al di là del cinema d’autore o i film animati della Disney che da diversi anni tentano nuove strade inesplorate senza necessariamente fare riferimento ai loro vecchi prodotti, è che non si sia più in grado di costruire nuove storie, di creare nuovi personaggi e di dare loro un mondo concreto con il quale interagire. Quindi si tende a ripiegare, con la scusa dell’effetto nostalgia di cui abbiamo ampiamente parlato nelle nostre precedenti recensioni (vedi Jungle Cruise e Space Jam 2), su prodotti lontani anche trent’anni dal nostro tempo per farli resuscitare e vivere di nuova luce.

Una luce che, nel più comune dei casi, è destinata a spegnersi in fretta, in un lampo, per lasciare spazio a un’oscurità perenne che rischia di risucchiare non solo quel prodotto, ma anche quelli precedenti a cui fa riferimento. Checché se ne dica, questo è il caso anche di “Ghostbusters: Legacy”, tirato fuori come sequel ufficiale dei due film precedenti risalenti agli anni ’80, e dimenticandosi totalmente – e per fortuna, vogliamo aggiungere noi – di un remake tutto al femminile uscito in sala nel 2016.

È il 2021 e una notte, nella cittadina di Summerville, un uomo tenta invano di sfuggire alle grinfie di un’entità sconosciuta e invisibile, perdendo la vita. Qualche giorno dopo, Callie (Carrie Coon) e i suoi figli, Phoebe (Mckenna Grace) e Trevor (Finn Wolfhard), si trasferiscono nello stesso luogo in cui avviene il misfatto e si ritrovano a dover fare i conti con un mistero ancora più intrigante che coinvolge non solo la casa stessa, ma l’intera cittadina. La piccola Phoebe, in particolare, si farà carico della responsabilità sia di risolvere il mistero che si cela dietro la scomparsa dell’uomo che abitava quella casa, sia anche quella di salvare la vita a tutti. Alla ragazzina si aggiungono Gary (Paul Rudd), un professore appassionato dei Ghostbusters, e Podcast (Logan Kim), un ragazzino che registra podcast, appunto, di stampo sovrannaturale.

Il film, come dicevamo, si propone come il primo vero e proprio sequel dei due film storici della saga, alla quale si ricollega in maniera molto semplicistica e conveniente. Ma il problema fondamentale non sta in questo meccanismo che rende prevedibili le azioni, come accade in molti altri blockbusters o film horror di questi ultimi anni, quanto più nella trama: la storia avrebbe anche degli interessanti sbocchi narrativi, che non vengono, però, sfruttati e nemmeno presi in considerazione. Manca palesemente qualcosa: il film inizia e scorre in maniera prevedibile e improvvisamente finisce concludendosi con uno scontro finale di dubbia ispirazione creato semplicemente per dare spazio a una scena che sprizza fanservice senza pietà, comprensibile davvero solo a chi conosce i due film precedenti e che lascia nei neofiti un senso di stucchevolezza inutile. Alla fine della visione, la domanda è stata automatica: dov’è andato a finire il secondo atto? Manca completamente uno sviluppo realistico della storia: i protagonisti sembrano essere già abituati ad avere a che fare con il sovrannaturale e la curva di apprendimento dell’eroe, nonché lo sviluppo del mondo che li circonda, è pressoché inesistente. Essa viene sostituita con un alquanto grossolano tentativo di esplorazione dei rapporti familiari del passato che si ripercuotono poi sulle generazioni future, con l’obiettivo di spezzare la catena grazie alle azioni dell’intraprendente quanto timida Phoebe.

Se il film del 2016 poteva essere considerato un film scritto da qualche appassionato – quello che oggi definiremmo un episodio filler – paradossalmente, il film che doveva essere un’azione di ripresa della saga, sembra essere il punto di arrivo definitivo in un’accozzaglia di scene d’azione e situazioni che ci ricordano neanche troppo vagamente un episodio di Stranger Things. Più lungo e scritto male, in un momento di noia.

“Ghostbusters: Legacy” in America, in realtà, esce con il sottotitolo “Afterlife”, che vorrebbe fare un riferimento più specifico alla storia. Eppure, sembra quasi profetico che in Italia venga portato in sala con un sottotitolo che richiama a una possibile eredità, un passaggio. Perché, per quanto la pellicola abbia delle belle scene d’azione e dei momenti anche piuttosto importanti – se non lo si guarda con gli occhi di un appassionato -, fallisce miseramente nel tentativo di compiere questo passaggio di testimone nel senso più simbolico del termine.

Il terzo film ufficiale della saga è un’occasione sprecata a tutti gli effetti: invece di fungere da ponte tra due generazioni distanti oltre trent’anni tra loro, diventa la pietra tombale di un prodotto umilmente consapevole di poter affrontare il paranormale senza prendersi troppo sul serio, grazie a un’impronta genuinamente umoristica e semplice che qui, invece, viene a mancare a causa di un tono forzatamente dark e dei momenti “umoristici” che di divertente hanno davvero poco.

© Riproduzione riservata.

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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