2 Aprile 2022

Freaks Out

di Antonio Messina

In piena Seconda Guerra Mondiale, il piccolo Circo Mezzapiotta dell’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi) incanta i suoi spettatori con l’esibizione di quattro personaggi caratteristici: Cencio (Pietro Castellitto), capace di controllare gli insetti; Matilde (Aurora Giovinazzo), la “ragazza elettrica” che non può avere alcun contatto fisico senza rischiare di fulminare qualcuno; Fulvio (Claudio Santamaria), incredibilmente forte ma con l’aspetto di un mostro peloso; e infine Mario (Giancarlo Martini), un nano che riesce ad attrarre i metalli come se fosse una calamita vivente. L’idillio, tuttavia, viene interrotto quando i nazisti invadono Roma e cominciano i rastrellamenti. L’unica speranza, a questo punto, è partire per l’America e cercare fortuna lì, lontano dalla Guerra, dall’altra parte del mondo. Ma quando Israel sparisce, i quattro decidono di dividersi e gli uomini riescono a farsi assumere al Circus Berlin, gestito da un altro freak: Franz (Franz Rogowski), un chiaroveggente con sei dita per mano, che cerca i fenomeni del circo di Israel per salvare il Reich e diventare il pupillo di Hitler.

Dopo il successo di “Lo Chiamavano Jeeg Robot”, Gabriele Mainetti torna dietro la macchina da presa cimentandosi ancora una volta con una storia che vede protagonisti uomini e donne con abilità straordinarie in un contesto storico importantissimo e che ancora oggi ispira moltissime opere cinematografiche e letterarie. Lo fa applicando lo stesso sistema del film precedente, senza dimenticarsi del mondo in cui i protagonisti sono immersi e con il quale sono costretti a interagire, fino a doversene difendere per la sopravvivenza. Sono tantissimi, infatti, i momenti in cui la verità nuda (letteralmente) e cruda viene proposta allo spettatore senza alcun filtro. Il fatto che i protagonisti abbiano delle capacità sovrannaturali non significa che ciò che hanno attorno debba essere per forza alla loro altezza; molto spesso i quattro, ma soprattutto Matilde, dovranno fare i conti con la violenza gratuita della guerra, con l’impossibilità di agire o l’incapacità di reagire, perché la paura paralizza più di ogni altra cosa al mondo. Una scena in particolare, dove ebrei, disabili, ragazzi affetti da sindrome di down e altre persone vengono fatti salire su un treno, riesce nell’obiettivo di rappresentare non solo simbolicamente ma anche materialmente la crudeltà di quel periodo. Laddove non c’è bisogno di parole ma bastano semplicemente le immagini, lo spettatore riesce a comprendere a pieno la durezza di un momento simile, sentendosi parte di quei rastrellamenti impietosi.

La mano autoriale di Gabriele Mainetti è evidente e ci parla di un tipo di cinema a cui l’Italia non è abituata e che, a parte qualche sporadico film come questo, fatica a proporre. La macchina da presa gioca a fare la guerra insieme ai due fronti e segue i proiettili, le ferite mortali dei soldati, le dodici dita di Franz che scorrono veloci su un pianoforte ed eseguono una famosa canzone scritta nel 1992. Come se Wagner fosse lì, ad esibirsi di fronte a centinaia di spettatori, proponendo musiche fuori dal proprio tempo. Gli effetti speciali, all’inizio e soprattutto alla fine, sono talmente fuori scala per un film italiano che, così come accadde verso la fine di “Lo Chiamavano Jeeg Robot”, ci fanno dimenticare che stiamo guardando un film nostrano e non un blockbuster internazionale. La ricostruzione degli ambienti, inoltre, è realistica e la Roma occupata dai nazisti acquisisce un nuovo fascino grazie a scorci e scene suggestive; la distruzione della città in cui i quattro si esibiscono e che sembra strizzare l’occhio ai film neorealisti; Matilde ai piedi dell’imponente Colosseo; i protagonisti che camminano in mezzo ai resti del foro romano; gli spazi aperti delle campagne e le foreste in cui si rifugiano i partigiani; la stanza delle meraviglie di Franz, costellata dai disegni di visioni del futuro e oggetti del secolo successivo ricostruiti in chiave nazista.

A tal proposito, in Freaks Out abbiamo un altro cattivo, che tenta di andare di pari passo con lo Zingaro interpretato da Marinelli nel film precedente, ma rimane fedele alla propria natura. Franz è un uomo di grandissimo impatto sia caratteriale che scenografico. Egli potrebbe sfruttare il proprio enorme potere per il bene degli altri, ma esso corre di pari passo con una devozione smisurata per la causa nazista e l’uomo che la rappresenta. La sua capacità di vedere il futuro non viene presa sul serio e il fratello tenta costantemente di relegarlo al ruolo di musicista esadattilo. A rendere letale Franz è proprio questo suo essere ridicolizzato da tutti. Lui è speciale, il suo potere non è insulso come quello di altri della sua stessa specie, lui può cambiare il mondo, può diventare un eroe, un paladino. Ma come si può essere una cosa del genere, quando non solo il proprio potere non viene riconosciuto, ma viene frainteso perfino da colui che lo possiede? Franz, dunque, è perfettamente in linea con la caratterizzazione del villain tipico di Mainetti. Inoltre, è completamente in antitesi con Matilde; se lei ha una paura quasi esagerata del proprio potere, nonostante il periodo storico in cui vive la dovrebbe costringere a usarlo per potersi difendere, Franz ne viene sopraffatto al punto tale da credersi una divinità moderna.

Mainetti, in definitiva, regala al cinema italiano non solo una nuova boccata d’aria ma anche la certezza che uscire fuori da certi schemi può solo fare bene e può aprire nuove strade da percorrere. Bisogna solo avere il coraggio di distaccarsi dal passato. O, in questo caso, rinarrarlo realisticamente senza dimenticarsi della magia di cui tutti, ogni tanto, abbiamo bisogno per evadere dalla realtà che ci circonda e strapparci un sorriso e, magari, donandoci un sogno a occhi aperti.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Antonio Messina

È nato a Catania il 2 gennaio del 1993. Ha frequentato il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre. Dopo il diploma segue due anni di Lingue e Culture Europee e Orientali a Catania, ma lascia per dedicarsi completamente alla stesura del suo primo romanzo, Le Ere dell’Eden – Genesi, una rilettura in chiave sci-fi delle origini di Dio, pubblicato, poi, nel 2015 per la casa editrice Carthago.

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