3 Marzo 2023

Symphonic Hell: “Nostradamus” dei Judas Priest (parte prima)

di Giulia Chines

Nostradamus, sedicesimo album della band heavy metal Judas Priest, è anche il primo concept album del gruppo, ovvero una raccolta in cui i vari brani rappresentano un insieme coerente. I due dischi/atti, difatti, raccontano la storia del celebre astrologo, scrittore, farmacista e speziale Michel de Nostredame, da tutti conosciuto con lo pseudonimo di Nostradamus, famosissimo per le sue Profezie.

Il disco si focalizza quindi sull’uomo Nostradamus, sulla sua vita tormentata e sugli eventi che lo hanno portato a essere tanto famoso quanto isolato, alternando veri e propri brani a intermezzi che si configurano come riflessioni di una mente distrutta e anticipazioni dei temi musicali che verranno espressi nel corso dell’album.

Questo articolo vuole essere un viaggio descrittivo che ci porti, traccia dopo traccia, all’interno dell’atmosfera e della storia che la band ci presenta.

PRIMO ATTO

Dawn of Creation (intro)

Tutto inizia con una musica spettrale, quasi presagio dell’avvenire della leggenda che sarà Nostradamus, della vita che dovrà vivere. Con un’orchestra a trasmetterci l’intero scenario, a evocarne le immagini, i violini si intrecciano alle tastiere dalle melodie dolenti. Si sente un battito e subito si viene calati da suoni profondi all’interno della storia. Sentiamo la profezia sempre più vicina, i piatti iniziano a suonare, la chitarra annuncia il tema della canzone, la prima vera traccia del disco dopo questa introduzione; le tastiere ricalcano la sinfonia della chitarra, mentre tutto incalza e incalza ancora un lamento ci porta… all’inizio, alla presentazione del personaggio.

Prophecy

Ed ecco di fronte a noi un uomo che non può fare altro che ricevere la potenza divina, e che simultaneamente diviene lui stesso potenza divina, mistica, forse quasi malvagia nel suo dover esprimere il terribile futuro della razza umana, un futuro che già si prospetta nelle prime battute. La simbologia profetica costella il testo: l’oracolo è colui che viene odiato, temuto per le sue parole; è colui che porta alla realizzazione degli eventi solo pronunciandoli (subito viene in mente Edipo che realizza il suo destino nella strada intrapresa per evitarlo, proprio dopo aver parlato con l’oracolo di Delfi). La chitarra e l’assolo ci comunicano tutta la forza con cui il profeta viene sopraffatto dai suoi vaticini… finché una voce non rompe la forza della hybris del protagonista: la sua stessa profezia, il grande peso di dover vedere «ciò che nessun altro può vedere». Il destino di ogni oracolo è l’invidia degli uomini e la loro paura. Il dono è anche una maledizione. Con una batteria incalzante e una chitarra minacciosa, veniamo catapultati insieme a Nostradamus nel suo destino infausto, «perché lui è nato per essere testimone della purga dell’uomo», la fine di tutto.

Awakening (inter.)

Il risveglio, uno degli intermezzi riflessivi del nostro protagonista. La musica, la voce, spezzano il cuore. È un lamento, la consapevolezza della solitudine che verrà, dell’incertezza, della paura.

Revelations

E così giungono, in questo secondo brano, le vere e proprie profezie. Anzi, l’inizio della sua più grande profezia: l’Apocalisse. Con un ritmo che ci fa comprendere la situazione di quasi trance in cui si trova, l’uomo innocente, costretto a vedere il futuro, si domanda se ha perso completamente la testa. La musica ci trascina nel vortice della sua follia. Nostradamus è colto da un’ossessione, le sue visioni divengono la sua vita. Lui sa di non poter fuggire, di dover obbedire alla voce divina. Sa che diverrà eterno, ma sente già il peso del prezzo che dovrà pagare. Un primo assolo, dal sapore mediorientale, ci lascia immaginare il vortice di emozioni che prende il protagonista e ci porta con lui sino al culmine della pazzia. «Il vaso di Pandora si apre» ed è troppo tardi per tirarsi indietro. Sta a Nostradamus accettare questa possessione divina e farne la «gioia della follia». Nel finale, siamo come trascinati dal tumulto delle sue emozioni: egli dichiara di volere questa condizione, la reclama per sé, ben consapevole della condanna che pesa su di lui: «prendi la mia vita».

The Four Horseman (inter.)

Ed ecco che comincia la profezia più famosa dell’Apocalisse, quella dei quattro cavalieri. In questo intermezzo, già la musica dà l’impressione di un evento terribile che deve accadere e le parole lo confermano: arrivano i cavalieri e mai più sulla Terra ci sarà pace. La musica diviene quasi una nenia dolce, che sembra volerci condurre verso la distruzione, una ninna nanna dal sapore tetro. Una musica che diviene già la preparazione di una battaglia, mentre il coro quasi angelico ci porta con l’orchestra verso uno dei più grandi terrori dell’umanità…

War

I tamburi rullano, la battaglia si prepara. Questo brano è un capolavoro cinematografico senza alcuna immagine, ci evoca un intero scenario pari a quello dei migliori film. Ricalcando i temi classici della musica da battaglia, ci trascina nel vortice peccaminoso degli dèi della guerra. Vediamo ogni cosa: bambini morire, donne urlare, uomini gridare sul campo di battaglia, cavalli che scalpitano, redini che vengono tirate. Poi solo i tamburi… Di nuovo quel senso di presagio. E subito i violini ci catapultano fra gli eserciti che si scontrano, le spade che cozzano con il loro clangore, i tuoni, i fulmini, la pioggia, il cielo che si apre di fronte all’eresia umana!

Non c’è modo di descriverlo, solo ascoltando la musica si può comprenderne la forza evocativa. I violini incalzano, ci trascinano, il cuore comincia a battere al ritmo del loro suonare, le tastiere, le percussioni, tutto ci trascina nel clamore. Poi eccolo, il comandante, lo possiamo vedere mentre si accinge a incoraggiare il proprio esercito, che risponde con altrettanta enfasi. Verso la vittoria, tutti quanti! «Nell’ora oscura, loro si ritireranno». Ecco il mantra della devastazione, della guerra, condurci verso la fine di ogni cosa, verso la fine della creazione. È l’atto dissacrante per eccellenza. La battaglia termina e rimane solo il sintetizzatore, segno spettrale della morte, della disperazione e della distruzione lasciate.

Sands of Time (inter.)

Altro interludio-riflessione del protagonista, che lamenta ciò che verrà. Il tempo non può essere fermato e lui può solo avvertire l’umanità del destino che l’aspetta. La musica ci fa sentire ogni granello di sabbia scendere nella clessidra, lo stesso Nostradamus sembra vederlo di fronte a sé, come a rallentatore. La sua disperazione è palpabile, lui non può far altro che ricevere passivamente questo terribile oracolo che annuncia la fine di tutto. Nella follia che lo attanaglia, nella comprensione di non avere alcun controllo, di non poter fermare ciò che sarà, Nostradamus si abbandona al lamento che è anche un preludio alla successiva fase di trance. «Il vento del cambiamento è ovunque». La musica è sempre più incalzante e…

Pestilence and Plague

Giunge il secondo cavaliere, alla guerra seguono malattie, carestie, ogni sorta di terribili eventi. E qui troviamo un ritornello in italiano che ci ricorda il presunto viaggio in Italia di Nostradamus: «Nella tentazione/ Cercando la gloria/ Il prezzo da pagare/ È la caduta dell’uomo». La voce ci fa percepire tutta la disperazione dei genitori che perdono i propri figli. Queste le conseguenze della guerra: la morte di tutto, la fine di ogni cultura. La musica ci mostra questo dolore, in due assoli che sono lamenti e che sembrano quasi il mormorare veloce di menti distrutte dalla sofferenza altrui e propria. Sembrano quasi dirci “basta, non ce la faccio più!”. Ed ecco che Nostradamus parla in quanto sé e non per la sua profezia: la fine dell’uomo è all’Inferno. Disperazione, non rimane altro.

Death

E passiamo subito all’altro cavaliere, senza alcun intermezzo stavolta. Le campane cominciano a suonare e sentiamo il lento battito di un cuore. Le tastiere sono come lamenti di spettri. Possiamo vedere la processione guidata da un prete e i cori che accompagnano il funerale. Poi la chitarra irrompe, mostrando già i primi scorci della figura che sta per presentarsi a noi. Stavolta non è Nostradamus che parla… è lei, la Morte! Che con voce bassa sembra quasi sussurrarci all’orecchio la nostra prossima fine. La musica e le parole non lasciano spazio ad alcun sentimento oltre alla paura di quella figura mostruosa che ci opprime e che attanaglia i nostri cuori. Ogni frase viene terminata con un urlo che è quasi un grido malvagio di vittoria. Mentre le campane continuano a suonare, siamo quasi consapevoli che la voce parli a noi, a noi che ascoltiamo: «La tua tomba ti sta aspettando». La chitarra ci ricorda i nostri vani tentativi di sfuggire a questa presenza, a questo presagio costante. E infatti non c’è scampo dalla morte. Ciò che rimane all’umanità è pregare Dio, chiedere pietà di fronte alla calamità che ci è stata mandata contro. Confessiamo le nostre colpe e poi «la nostra voce non si sente più», perché non esiste pietà. Riprendendo le loro classiche sonorità heavy metal, gli assoli spezzano la tensione, ma subito si ritorna al senso di apocalisse imminente. Non vi è alcuna speranza, o così sembra…

Peace (inter.)

Dopo un ultimo scampanio, veniamo trascinati in un breve interludio, con un arpeggio dolce. È di nuovo Nostradamus a parlare. Ricordi del passato lo stanno attanagliando, un passato che è un futuro ancora non realizzato. Qui si torna all’elemento storico del profeta, che sente già ciò che verrà con quella morte. E difatti sappiamo della tragica scomparsa della sua amatissima moglie. L’amore, lo riconosce, è ciò che ci fa vivere. Poi subito tutto passa alla successiva profezia, il prossimo cavaliere, quello glorioso e bianco.

Conquest

La musica è una sinfonia di speranza che galvanizza chi la ascolta. L’era di un’umanità che rinasce e riprende in mano la sua libertà «come raggi del sole che guariscono chiunque». È l’eterna salvezza. Eppure rimane un fondo di dubbio che ci attanaglia durante lo svolgersi della canzone: «Vendetta e resa dei conti/ State attenti a questo Dio/ La sua gloria è minacciosa».  Questa gloria, questa speranza di salvezza, può essere falsa? La vendetta non è forse un ritorno al ciclo vizioso della violenza? La vittoria di una guerra non è sempre una sconfitta per l’umanità, una vittoria solo per la Morte? Queste riflessioni è come se sorgessero spontanee dalla voce dubbiosa del cantante e dalla musica, che rimane comunque incalzante e minacciosa. «Non mollare» dice l’ultima frase.

Lost Love

Ed è proprio con tono triste che ci avviamo verso la parte dell’album che tratta più la vita dell’uomo Nostradamus che le sue profezie. La splendida ballata della moglie perduta a causa della peste (ecco perché trattare dei cavalieri, contesto anche della vita del protagonista). L’unica ragione di vita del profeta, la donna che lo ha accompagnato sin dai primi momenti. Con una voce tanto triste da portare al pianto, Nostradamus ricorda (riusciamo quasi a immaginarlo sul letto di morte della moglie, mentre le parla con la sua mano raccolta fra i suoi palmi) ogni momento con lei. La prima volta che si sono incontrati, come sapeva che l’avrebbe amata per sempre, anche attraverso i momenti difficili. La consapevolezza che questo amore non finirà mai, nemmeno con la morte. E poi l’assolo, straziante. Come un pianto di bambino, ci parla al cuore, sentiamo lo struggersi della sua anima e i suoi singhiozzi. Fino alla frase finale: la consapevolezza che la donna, dal paradiso, guiderà il suo cuore nei momenti difficili, sarà con lui sempre, soprattutto per ciò che lo attende.

Persecution

Con una ripresa del tema iniziale, Dawn of Creation, che già presagiva il tutto, ritroviamo una musica minacciosa, ma stavolta a parlare è una voce che chiede di obbedire alle leggi divine e proclama di vedere ogni cosa: è la Chiesa. Il momento del contrasto che portò Nostradamus a essere poi esiliato. In una musica che è evocazione di un tentativo di fuga in corsa, sentiamo Nostradamus e la sua condanna al mondo ecclesiastico. Egli dichiara di porsi volontariamente contro la Chiesa, contro la persecuzione che perpetrava, contro quelle che si definiscono leggi sacre, con in mente solo il suo dovere di profeta. «Condannano la verità» chiedendo conformità a sé, ma la fede di Nostradamus è forte. Dopo un momento di breve assolo di tastiera che sembra mostrarci la mano della Chiesa sull’uomo, parte un pezzo quasi rappato della canzone: 

«They will not eradicate me/ Break my will or suffocate me/ I will subjugate the hate/ That they breed// As the church interrogates/ I cannot see they supplicate me/ Execute and ridicule/ We’re all freed». 

Nella velocità e nel tono, scorgiamo la forza di un uomo che di fronte alla persecuzione tiene la testa alta, quasi ci ispira. I due assoli sembrano i tentativi dei membri della Chiesa di spezzare la sua forza di volontà, la sua determinazione, ma presagiscono il fallimento. Lui non può cedere, non si inginocchierà mai: sentiamo due voci sovrapporsi, come se l’uomo parlasse insieme alla voce divina che lo possiede. La denuncia finale, ripetuta e urlata, ricorda la persecuzione nella sua similitudine alla crocifissione. Infine, la musica si calma, torna al tema iniziale: abbiamo la consapevolezza che hanno fallito. E lentamente veniamo portati alla fine di questo primo disco, in una dissolvenza graduale.

Domani vi racconterò l’Atto II di questo concept album tra i più sperimentali dei Judas Priest, intanto godetevi l’epicità del video di War, pezzo che, a mio parere, è il più incisivo ed evocativo di Nostradamus.

© Riproduzione riservata.

Il nostro giudizio

Giulia Chines

Nata a Palermo nel 1994, si diploma al Liceo scientifico Galileo Galilei della propria città. Prende una laurea triennale in Studi filosofici e storici e una magistrale in Scienze filosofiche e storiche all’Università degli Studi di Palermo, approfondendo in particolar modo gli studi antropologici di René Girard rispetto al capro espiatorio e agli stereotipi di persecuzione, oltre che al rapporto violenza-religione.


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